«Ogni malato che si salva ci dà la forza per andare avanti» - VIDEO-REPORTAGE

Rianimazione, 4 ricoveri in 2 giorni, l’età si è abbassata, ma anche il tasso di mortalità

Quattro pazienti in terapia intensiva in 2 giorni e l’età media si è abbassata, passando dai 79 ai 40/50 anni. Ne è stato ricoverato persino uno di 20, anche se aveva delle comorbilità associate. Attualmente (dato aggiornato a venerdì 19 marzo 2021) sono ricoverati in terapia intensiva, al Maggiore, 14 malati, 9 dei quali Covid, a Codogno, invece, 2 non Covid e 2 Covid.

Se nella prima ondata, a causa dell’alto numero di pazienti, il tasso di mortalità, in rianimazione, era superiore al 50 per cento, adesso è del 34 per cento. In questi giorni sono stati ricoverati pazienti del 1950, del ’47, ’64, ’67, ’68 e persino ’75 e ’77. Tutti malati intubati, con una grave insufficienza respiratoria, provenienti da paesi della provincia di Lodi, mentre qualche giorno fa arrivavano dal Bresciano.

«Rispetto alla prima ondata - spiega il primario -, l’età media si è abbassata. Essendo giovani, però, hanno un esito migliore rispetto a prima e poi l’approccio è cambiato. Abbiamo a disposizione l’eparina, il cortisone, il Remdesivir e il plasma. Poi siamo più organizzati, non siamo stati colti all’improvviso. Per quanto ci riguarda, utilizziamo le modalità di ventilazione protettiva per i polmoni colpiti dalla malattia e le tecniche di ventilazione come il reclutamento polmonare e la pronazione, al fine di migliorare gli scambi gassosi».

L’insufficienza respiratoria grave (Ards), ammette il dottor Russo, «è una patologia molto impegnativa, in termini clinici e organizzativi. Il problema è che prima avevamo 10 Ards all’anno, adesso sono la norma. Fino a 2 o 3 giorni fa Lodi andava meglio, dal 16 marzo, ce ne sono stati 4 in due giorni. L’arma principale deve essere la prevenzione. Tutto il personale medico e infermieristico del reparto di anestesia e rianimazione, che arriva da un anno terribile, è impegnato in modo massivo. Sappiamo che durerà per le prossime 3 settimane, fino a quando non si avvertirà l’effetto delle restrizioni».

In Regione Lombardia, spiega Russo «c’è un sistema di «rete che garantisce la cura rianimatoria per coloro che ne hanno bisogno. Noi abbiamo un piano, concordato con la rete a seconda dei livelli di necessità, stabilito da Regione Lombardia, che ci porta ad aprire letti nelle aree mediche e di terapia intensiva. In base all’andamento dei contagi si aprono i letti che servono. Noi, a Lodi, possiamo arrivare fino a 16. Rispetto alla prima ondata stiamo continuando a garantire assistenza anche ai non Covid».

Anche il dottor Russo, classe 1980, lo scorso marzo, si è contagiato: «Quando ero malato confidavo sulla mia giovane età - ammette - adesso che vedo i pazienti attuali rimango impressionato. Grazie alle terapie ricevute in pronto soccorso mi sono salvato. Ringrazio tutti, dai vicini che mi portavano il pranzo, alla Croce rossa di Lodi che mi consegnava la spesa, ai medici del pronto soccorso che mi hanno curato».

Il primario non ha dubbi: «Il reparto che ho l’onore di dirigere - dice - dal 20 febbraio sta affrontando l’epidemia in maniera straordinaria, mettendo da parte gli aspetti famigliari e relazionali, dedicandosi in maniera totalizzante all’ospedale. Ad aiutarci è il fatto che mentre prima l’ospedale era diviso in reparti, con l’avvento del Covid tutti gli specialisti hanno lavorato fianco a fianco. Si è creata un’unione che resterà anche dopo il Covid e che potrà essere sicuramente un elemento fondamentale per la cura dei pazienti. Si sono fortificati i rapporti tra noi, sia professionali che umani».

Storie da raccontare? «Tante, tristi, come quella del papà di 5 figli che non ce l’ha fatta, ma anche belle - dice il dottore - , come quella del 20enne che si è salvato, nonostante la gravità. Ogni paziente che si salva ci dà la forza per andare avanti».

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