Oggi scavi una buca, poi la ricopri

Negli anni ’30, all’indomani della grande crisi che investì l’economia mondiale, John Maynard Keynes fece conoscere la sua teoria basata sugli investimenti pubblici per rilanciare il lavoro e la produzione. Il suo pensiero venne, in maniera riduttiva, banalizzato nel paradosso, poi divenuto celebre, di far scavare, a squadre di operai, delle buche nel terreno e farle, subito dopo, riempire da altre squadre di manovali. Un tale provvedimento, apparentemente assurdo, avrebbe creato occupazione e rivitalizzato imprese e consumi. Se non fosse intervenuta la seconda guerra mondiale ad agire da potente volano per le attività manifatturiere americane, non è, affatto, escluso che Franklin Delano Roosevelt, appena eletto presidente, si sarebbe deciso ad adottare le innovazioni keynesiane per risollevare il proprio Paese dalla forte depressione innescata con il crack di Wall Street.A seguire, nel dopoguerra, dopo gli euforici decenni della ripresa, il gotha della finanza internazionale, mostrando memoria corta, ha commesso errori del tutto sovrapponibili a quelli che provocarono il crollo della borsa nell’ottobre del 1929, replicando situazioni critiche transatlantiche e mondiali che, ancora oggi, affliggono specialmente quegli Stati che nel periodo delle “vacche grasse” non hanno avuto la volontà e la capacità di pensare al futuro.E’ facile capire che il riferimento è tutt’altro che casuale.Proviamo a immaginare uno scenario italiano alternativo a quello realmente costatato negli ultimi tre decenni.Se le risorse ingentemente dilapidate in appalti truccati per costruire autostrade mai finite, viadotti sbriciolati una settimana dopo l’inaugurazione, ville faraoniche, sapientemente intestate a prestanome da certi politici, dirigenti, mafiosi ed imprenditori improvvisati, o quelle ancora stoltamente volatilizzate per pagare lauti stipendi, liquidazioni da capogiro e pensioni di platino ad oscuri professionisti della speculazione e dell’intrallazzo, capaci solo di saturare il sottosuolo di Roma di grosse pantegane e di far montare il disavanzo comunale a livelli insanabili, fossero state impiegate per varare un piano nazionale di risanamento del patrimonio abitativo e culturale, avremmo sicuramente un’economia ben più florida di quella odierna , sulla quale, tra i tanti disastri, sinistramente incombe un debito pubblico stratosferico.Proviamo a immaginare quali effetti avrebbe provocato la pluriennale attuazione di un tale lungimirante programma, senza bisogno di ricorrere alle incoerenti fosse di Keynes.Crisi edilizia? Nemmeno l‘ombra. Migliaia di imprese sarebbero state impegnate in una miriade di cantieri affollati da architetti, geometri, gruisti, carpentieri, restauratori e specialisti di ogni ramo e tipologia professionale, senza sacrificare scioccamente terreni agricoli per edificare il nuovo.Indotto? Stracarico di commesse, per forniture di manufatti e semilavorati, travi di acciaio, laterizi, tubazioni, piastrellati, isolanti, coibenti , pannelli solari e tant’altro, perfino lungo da elencare.Produzione di beni? Robusta e ben strutturata nei comparti del durevole e dell’essenziale.Banche? Inondate da richieste di mutui e finanziamenti, cospicui e solvibili.Occupazione? Piena e in progressiva qualificazione, assorbente anche quella extracomunitaria.Turismo? Attivo e stimolato da salari e stipendi puntualmente liquidati, sostenuti da agili contratti senza troppe pastoie sindacali. Pil? Del tutto esente da flessioni o stagnazioni.Tasso di mortalità durante i terremoti? In vistosa contrazione, tendente al risultato già conseguito in Giappone dove scosse del sesto grado Richter, ammazzano, solo di paura, qualche topo sorpreso fuori fogna.Qualcuno obietterà, che un tale panorama è puerilmente ottimistico. In realtà sarebbe forse più corretto definirlo utopistico.Ammesso pure che un illuminato governo potesse averlo concepito e fatto approvare da un parlamento insospettatamente concorde, all’indomani si sarebbe subito scatenato l’intreccio di telefonate, di contatti, di incontri, di riunioni, di accordi sottobanco, di mazzette, per spartirsi le torte ed accaparrarsi gli appalti. Invariabilmente si sarebbe ripresentata, alfine, la deludente attuale quotidianità: una scuola appena ristrutturata che si affloscia come un castello di carte e il Procuratore che, a posteriori, scopre l’abbondanza di sabbia e la quasi completa assenza di calcestruzzo tra i materiali che il capo cantiere, d’accordo con il collaudatore certificante, ha utilizzato.Sembra che alcuni qualificati geologi e vulcanologi si aspettino in Italia fenomeni sismici con energie trenta volte superiori a quelle di Amatrice. E’ sufficiente per fronteggiarli la promessa circolata in queste ore che stavolta non finirà come in Irpinia? L’incredulità è d’obbligo: sono già in tanti a supporre, infatti, che la corsa al ghiotto boccone tra consorterie del crimine e comitati d’affari ha avuto già inizio. Potrebbero essere costoro a dare la risposta alla supplichevole domanda che il Vescovo di Ascoli ha rivolto al Signore?

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