Non è azzardato prevedere che l’annunciata azione del governo sul tema delle cosiddette liberalizzazioni dei servizi pubblici locali si tradurrà in una nuova svendita ai privati dei beni comuni. Tra i soggetti interessati a questo ingente bottino, privo di rischi proprio perché composto da servizi essenziali per tutti i cittadini, ci sono infatti società quotate in Borsa, per loro natura tese alla massimizzazione del profitto e all’incremento di valore per gli azionisti, grandi imprese che spesso non pagano tasse dirottando i profitti altrove ed esponendo bilanci in perdita, operatori finanziari senza scrupoli o contigui con il riciclaggio del denaro accumulato illecitamente.Le grandi manovre in questa direzione sono iniziate già all’indomani del referendum del 12-13 giugno, che - come tutti ricordiamo - ha abrogato l’obbligo di privatizzare in tutto o in parte la gestione dei servizi pubblici locali (acqua, trasporti, rifiuti) e ha escluso la possibilità di fare profitti sull’acqua.L’attacco all’esito del voto referendario è proseguito poi con il decreto di agosto del precedente governo, che riproponeva le norme abrogate, con l’esclusione del servizio idrico integrato. Il governo “tecnico” attuale si appresta ora a varare un decreto sulle strategie di liberalizzazione che riguarda anche l’acqua, elemento essenziale alla vita, che, come anche il voto popolare ha sancito, non è una merce come le altre, ma è un bene comune e un diritto umano fondamentale.Un governo che ha promesso rigore ed equità non può calpestare in questo modo l’esito del voto referendario, nella lettera e nel suo significato profondo di riappropriazione dei beni comuni e della capacità di autogoverno locale. Il movimento in difesa dei beni comuni che in tutta Italia si è creato in questi anni dimostra che la nostra democrazia può avere un futuro solo se saprà ripartire dai territori e da una nuova responsabilità di tutti i cittadini. Per questo cedere oggi la gestione dei beni comuni ai privati, sotto l’emergenza creata ad arte dalla speculazione finanziaria, è un errore che le prossime generazioni pagherebbero caro.Il nostro Paese ha bisogno di un’efficace azione di contrasto dei cartelli e delle posizioni monopoliste presenti nel mercato, non di cedere agli appetiti di chi, spesso proprio per evitare la fatica di stare sul mercato, punta ad appropriarsi dei servizi pubblici locali, dove i profitti sono garantiti dalle tariffe e in caso di problemi pagano comunque i cittadini.Un nuovo trasferimento di beni pubblici a favore di pochi potenti (è questa la storia delle privatizzazioni che l’Italia ha dovuto subire negli ultimi vent’anni) dimostrerebbe l’incapacità del governo e delle forze politiche che lo sostengono di distinguere tra gestioni dissennate (da commissariare) e amministrazioni virtuose (da rispettare), tra distribuzione di “poltrone” e possibilità reali di esercizio della democrazia dal basso.Chi ha a cuore l’acqua pubblica e i beni comuni si attende che le forze politiche che hanno sostenuto, o non osteggiato, il referendum del 12-13 giugno non rimangano inerti e si prendano la responsabilità di far pesare fino in fondo la voce dei territori e della cittadinanza attiva.La politica è già molto lontana dalla realtà: per questo è necessario fermare sul nascere decisioni che renderebbero questa distanza incolmabile. Il movimento di cittadini nato in questi anni intorno alla difesa della gestione pubblica dell’acqua e dei beni comuni, proprio perché si oppone al processo di allontanamento dal territorio delle decisioni che riguardano la sua popolazione, rappresenta una grande risorsa e la speranza di un modo nuovo di fare politica. Per questo ha bisogno del sostegno e del contributo di tutti.
© RIPRODUZIONE RISERVATA