Non gocare a scaricabarile con i poveri

Non siamo mai stati così male da tempo immemorabile, e i dati sulla disoccupazione, sui nuovi poveri, sulla mancanza di speranza che tocca le nuove generazioni, ci dicono purtroppo che non c’è da illudersi in un cambiamento né a breve e nemmeno a tempi lunghi. E tuttavia ogni giorno, come un disco che si è incantato, ci ripetono la diagnosi della malattia, ma la prognosi rimane riservata. Crisi che è perdita di lavoro o mancanza di speranza di trovarne uno nuovo. Il morbo ormai è sulla pelle di tutti, come una peste: nessuno che si affianchi, se non il volontariato laico o cristiano, che getti un salvagente perché almeno chi versa in acque profonde, riesca a non affogare. Vorremmo poter vedere già nella manovra di stabilità qualche segnale concreto, che riguardi l’oggi, perché se si tratta di domani o di dopodomani, il treno è già perso. Le promesse non fanno tacere la fame e la fame non può aspettare mille giorni, anche se la politica li impiegasse nella ricerca di soluzioni miracolistiche. “Meno slogans e più fatti”, lo hanno detto persino i vescovi, facendosi voce delle povertà del loro popolo. Sappiamo tutti che la crisi ha triturato singoli e famiglie: occorre lavoro innanzitutto, per restituire dignità sottratta, magari attraverso troppe ingiustizie e discriminazioni. Le riforme, anche quelle “intelligenti” e utili, vengano pure, ma dopo. A chi ha perso il lavoro interessa poco se il senato sarà differente da quello attuale: se lo si cambia illudendo che non costi niente, di ottenere un risparmio, si tratta di un risparmio comunque simbolico, di briciole in un mare di sperperi, e di gestioni allegre. La gente non ne può più.Gli emarginati, gli “scartati” ormai li troviamo dappertutto e su tutto il territorio, nazionale e anche sul nostro, in tutta la città capoluogo, in tutti i suoi quartieri: quelli più popolari e quelli più signorili. Come dice Papa Francesco, la cultura dello scarto si è diffusa ovunque, e non risparmia alcuna categoria; purtroppo sembra accettata come inevitabile.Il mondo del volontariato, anche da noi, interviene moltiplicando le forze, ma aggiustando con toppe nuove un tessuto sfilacciato, che non tiene più. Ci si potrebbe anche chiedere se è giusto che il volontariato sia diventato l’unica agenzia di solidarietà e di welfare. Non sembra che ciò corrisponda all’idea di solidarietà che si evince dalla Costituzione e che sarebbe persino auspicabile in una società del benessere. Qui siamo soltanto nella supplenza ; solo perché da Roma non arrivano quattrini oppure perché la classe politica, quella rottamata e quella “in fiore” hanno mancato o mancano di prospettive o di progetti che facciano più giustizia e più bene comune? Assicurare stabilmente e capillarmente generi alimentari di prima necessità per assicurare il minimo di sopravvivenza attraverso la carità all’opera, è un fatto che dà lustro alla nostra città, ma non alla politica. E’ la pubblica dichiarazione del suo fallimento!Ormai i dati dicono che la miseria, fenomeno che viene subito dopo la povertà, non tocca soltanto gli stranieri, bensì i nostri lodigiani, e persino le classi “medie”. Ma fino a quando, ci si chiede, si potrà resistere e sopportare?Anche a Lodi ormai gli “scartati” si sono dispersi in tutte le zone e sarebbe bello che si riuscisse ad offrire loro “in loco”, a kilometro zero, come si dice oggi, risposte alla fame, alla necessità di un letto, di una doccia, di un centro di accoglienza e di ristoro. E’ necessario, e sociologicamente conveniente, evitare che si cristallizzino sacche e zone di disagio, ghetti di diseredati e di disperati. Occorre rispondere con interventi di aiuto predisposti nelle varie zone, per evitare che la guerra dei poveri si trasformi in un “ popolo” che si ingrossa per ribellarsi. Perché la ribellione potrebbe essere dietro l’angolo, e nemmeno soft. L’aiuto ai bisognosi allora va assicurato già nei vari quartieri. Evitiamo che il grido dei poveri si trasforma in un coro, se vogliamo poter godere di notti tranquille! A molti darà fastidio aprire la finestra e non vedere più il panorama rassicurante dei tempi del benessere; il mondo è cambiato, piaccia o non piaccia, e tutti dobbiamo abituarci all’incontro e al sostegno di chi ci è prossimo, di chi ci è vicino, a chi è finito, senza colpa, nella disperazione. Dividerci quel poco di ricchezza che ci rimane con quanti bussano in nome del diritto naturale alla dignità personale è anche un dovere cristiano, almeno per coloro che si dicono tali. “Vai nella città bassa, dove troverai la mensa, il dormitorio, le docce, il centro d’ascolto”: sono frasi che nascondono un alibi, un sottile scaricabarile che deve infastidire la coscienza di ciascuno. Una scusa che non può rasserenare la coscienza, poiché non è minimamente, nè umanamente, etico.

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