Non basta indignarsi, servono ideali

«Caduta dei valori», «decadenza dell’etica», «capitolazione della morale», «crisi della politica». A ritmo alterno sono argomenti che entrano nel dibattito. Con quale risultato? Se si eccettua l’esercizio verbale quotidianamente riservato a fatti e fatterelli, malefatte e malaffari, illegittimità e corruzioni, procedimenti e prescrizioni, nulla sembra debba o possa cambiare. Sennonché, prima dell’estate, c’è stata la firma di un Manifesto per la buona politica e recentemente si sono avuti gli interventi di Papa Ratzinger e del cardinal Bagnasco. E’ evidente che da soli i discorsi non bastano a modificare i comportamenti delle persone e della politica. Superato il momento contingente, altre parole si prendono spazio. Sulle “reazioni” al recente documento della Cei si potrebbe scrivere un trattato di comunicazione politica. Quelle dell’ex-ministro della Cultura sul Foglio meritano un’attenzione in più, tanto risultano stupefacenti nella forma e nella sostanza.. Invitano Bagnasco a mantenersi distante “da ogni ipocrisia moralistica e da ogni tentazione politicista”, a non prendere per buone “semplici accuse non dimostrate”. Lo “stile” è quello dell’elefantino, che tuona da tempo insistentemente contro i “beceri moralismi”.

Perché i richiami alla pulizia morale debbano essere sempre giudicati insolenti, volgari, zotici, solo i difensori di un certo costume licenzioso e di un linguaggio deteriorato lo sanno. Quando le analisi toccano questioni morali, si esaltano volentieri nei logoramenti semantici, offrono inedite dimensioni di senso, scompongono i canoni ordinari di misura/dismisura, costume/depravazione, lecito/illecito, onestà/disonestà, ordine/disordine.

L’ex-ministro alla Cultura ha certo il dovere di difendere il suo leader. Ma che nella sua difesa d’ufficio arrivi a recriminare perché i vescovi censurano “comportamenti licenziosi e relazioni improprie che producono danno sociale” è una bella pretesa.

Un tempo, a catechismo e a scuola, oltre che in famiglia, venivamo educati a distinguere la natura dei modi di fare e di agire. Li chiamavano vizi capitali, ma dentro ci mettevano un po’tutto: corruzione, affarismo, sregolatezza, dissolutezza, disordine, immoralità, lussuria, eccetera. I genitori, la nonna, i catechisti, il prete, il maestro ci insegnavano, come si diceva, a stare al mondo. Forse non li capivamo molto bene tutti quei concetti, ma alla fine ci davano una mano ad avvertire che, in fondo, anche la politica era un valore, un servizio, e non doveva procurare scandalo e scadimento morale.

Adesso quello che chiamavamo vizi li chiamano diversamente: privilegi, affari di famiglia, legittimi ’interessi, giustizia domestica, libertà private, intrattenimenti. Anche le parole sono nomadi, non solo i parlamentari, conoscono processi migratori che confondono i confini dei territori sui quali si orientava la vecchia geografia morale.

Cos’ in politica sia finiti lontani dagli ideali che furono dai Mazzolari, Dossetti, Einaudi, Bozzi, Bonomi, Olivetti, De Gasperi Barbera, Moro, Pistelli, Saraceno, Santi, Lazzati, Amendola, Galasso, Marazza, Spinelli, Rossi, Scoppola, Bisaglia, Menichella, Vanoni, Elia, Pastore, Valiani, Falck eccetera... Salve le solite eccezioni, dove troviamo in parlamento, nella classe dirigente, nella società civile politici, intellettuali, economisti, urbanisti, psicologi, storici, sociologi che si misurano sul piano delle idee, dello studio, delle proposte, degli obiettivi?

Abbondano, al contrario, indagini, dossier, intercettazioni, cricche e faccendieri, che riempiono metà dei giornali italiani e pagine di quelli esteri. Non so se a questo punto a qualcuno è venuto il dubbio (o il sospetto) che la questione morale è la cruna d’ago della nostra politica.

Corruzione e malaffare ci sono sempre stati. Non stiamo neppure peggio rispetto alle delusioni descritte da Leopardi nel suo Zibaldone. Siamo sempre il paese delle multiple disobbedienze incivili: evasione fiscale, abusivismo edilizio, elusione previdenziale da lavoro in nero. E degli intrecci tra affari e politica, della corruzione, del pizzo. Il grave è che nessuno sembra scandalizzarsi più. Alla guerra del diritto contro il privilegio, dell’equità contro l’ingiustizia, dei talenti contro i parenti sono in pochi che ci pensano.

Cosa ha reso possibile il degrado morale denunciato dalla Conferenza episcopale lo dice impietosamente l’analisi che l’accompagna: la corruzione (“una piovra”), l’evasione fiscale (“cancro sociale”), il deterioramento del costume pubblico, la crisi di efficienza e di legalità.

i guasti di certo linguaggio pubblico, la corruzione del senso civico, l’emergenza dell’economia e della finanza, La “questione morale” coinvolge chi ha ruoli istituzionali e politici, ma spesso trascina dentro anche i comportamenti dei cittadini comuni.

Non basta indignarsi, bisogna impegnarsi. Servono ideali. Morali, religiosi, estetici o di altra natura, ben miscelati, senza esagerare negli ingredienti. Per rendere migliore la politica. Per non cedere al conformismo e non guardare più in là.

Dopo la sbornia di magna-magna bisogna tornare a inventare. Qualcuno ha già iniziato a a ridisegnare il futuro dei cattolici in politica. Ha organizzato per il 17 ottobre prossimo un forum che dovrà dare concretezza al “Manifesto per la buona politica”, firmato un paio di mesi fa da Cisl, Confartigianato, Acli, Coldiretti, Movimento Cristiano Lavoratori, Coldiretti, Confcooperative, Compagnia delle Opere, al quale prenderanno parte con la Comunità di S. Egidio una galassia di associazioni e movimenti ecclesiali interessati a discutere il progetto. Auguriamoci che per i troppi distinguo su come riedificare la casa comune non resti una buona intenzione.

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