Nelle penombre dei nostri giorni che passano

Il Venerdì santo si affacciò sul mondo da quando, dal silenzio del Getsemani, il mistero dell’iniquità venne evocato dalla sofferenza di Cristo, che rivelò ai tre apostoli di sentirsi triste sino alla morte e in preda a un’angoscia di cui la terra non può conoscere l’eguale. Il Figlio di Dio portava il peso del peccato dell’uomo, per l’empietà della colpa deliberatamente compiuta quando la creatura - nell’arroganza di una presunta sua forza - insorge e congiura contro il Signore e contro il suo Messia. Quasi sempre l’offesa a Dio passa attraverso l’oltraggio nei confronti dell’uomo, specularmente alla carità, espressione di amore verso Dio nel bene compiuto a favore dei fratelli. Il male ha, anzi, mille volti e si esprime in infinite forme, quasi a mostrare, in tragica antitesi, il segno divino calpestato e offeso, che la creatura umana porta pur sempre impresso in sé. Gli stessi personaggi della Passione danno un’idea, nella diversità dei loro atteggiamenti, di questi innumerevoli volti in cui si concretizza il mistero dell’iniquità. Giuda, anzitutto, che aveva seguito il Signore, ascoltato la sua parola, visto i prodigi.. Nel suo tradimento l’aspetto più misterioso e tragico è la miseria assoluta del gesto compiuto, dato che, nell’abiezione dei trenta denari, è annientato anche quanto di comprensibile può esserci nella scelta dell’uomo che si allontana da Dio per crisi autentiche e dignitosamente sofferte. La vicenda di Giuda è drammaticamente esemplare per i cristiani chiamati a compiti speciali nella Chiesa di Dio, quando il vincolo con le piccole, luccicanti cose di questa terra spegne in loro l’entusiasmo per la vocazione di cui Dio ha fatto il dono. Si tratta, in ogni caso, di vicende dense di errori e di lacrime, per cui supplicare la misericordia di Dio, perché scenda su tutti e ci salvi. Una penombra avvolge anche l’anima degli altri discepoli del Signore, che seguono da lontano, oppressi dalla prova e per l’apparente sconfitta, simbolo - così - dell’umanità nell’angoscia quando su di essa pesa il mistero e il silenzio di Dio. Non è inopportuno ricordare che questa sembra essere la tipica condizione in cui l’Occidente si trova da alcuni secoli, imprigionato in una cultura impoverita anche delle più elementari certezze e in cui nessun paradigma di valori fisso e ritenuto sacro sembra destinato a sopravvivere. Gli spiriti restano, così, diffidenti anche verso la verità del Signore, e non sanno camminare incontro a Lui nella gioia e nello slancio dell’invocazione. Per questa umanità che segue solo da lontano e che non sa giungere al Signore, i credenti devono implorare, per tutti, la luce di Dio. Alla prova, del resto, tutti dobbiamo essere preparati, perché anche i prediletti fra gli apostoli avevano gli occhi appesantiti dal sonno e non riuscivano a vegliare con il Signore in quell’ora di tenebre. Il piccolo gregge si sentiva disperso, mentre alle forze del male sembrava assegnata la definitiva vittoria. Non è difficile immaginare quanta angoscia abbia procurato nei secoli, ai seguaci di Cristo, questa sensazione di sconfitta, nello spettacolo dell’indifferenza e dell’empietà. Anche di questo dà testimonianza il racconto della Passione quando narra dei soldati che, dopo la morte di Cristo, non pensavano che a dividersi la sua tunica, dimentichi, ormai, della tragedia e delle crudeltà compiute.. Terribile è pure l’empietà del ladro impenitente, che si accanisce nell’iniquità e maledice e schernisce il Signore, pur accanto al compagno docile alla luce di Dio e giunto ormai a salvezza. Cecità del cuore, fragilità dell’anima, sonno della ragione sono, dunque, le componenti del peccato, per le quali soffriva e moriva in croce il Figlio di Dio. I frutti della redenzione stavano però per scendere in pienezza sulla vita dell’uomo e già ne apparivano i segni. Il ladrone pentito si era rivolto con umile e grande fede al Signore, ottenendo la promessa di essere salvo, e il centurione, considerando ciò che era accaduto, andava ripetendo: «veramente quest’uomo era Figlio di Dio». Con umile fede generazioni di credenti avrebbero proclamato in tutti i secoli la stessa consolante certezza. Sul peccato dell’uomo era scesa la misericordia di Dio, e la pietà dell’Onnipotente avrebbe segnato per tutti la via della salvezza. Attraverso Giovanni, giunto sino alla croce, tutti gli uomini erano stati affidati alla Madre di Dio, e in lei si era compiuto il più sublime incontro di dolore e di amore. A ciò noi pure siamo chiamati, nelle penombre dei nostri giorni che passano.

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