Nefrologia, la cultura e la donazione

Ogni anno il secondo giovedì del mese di marzo è dedicato in gran parte delle Nefrologie di tutto il mondo ad un appuntamento molto importante con la prevenzione e l’informazione su una malattia, quella renale appunto, in continua espansione. La manifestazione è di quelle che contano visto che si aggiudica il patrocinio di quasi tutte le principali Società scientifiche nefrologiche. I dati della Provincia di Lodi sono allineati con quello che accade nell’intero Paese e un po’ in ogni parte e cioè con una continua espansione del pool di pazienti che iniziano o fanno la dialisi. L’ultimo Report del nostro territorio parla di 48 nuovi ingressi in dialisi (lo scorso anno erano stati 39), di cui 44 in emodialisi (la dialisi che si fa al Centro attraverso la circolazione extracorporea) e solo 4 in dialisi peritoneale (la dialisi che si fa al domicilio attraverso l’addome). Questa netta sperequazione fra trattamenti in Centro e al domicilio dice della difficoltà nel reperimento di pazienti autosufficienti o con adeguato caregiver (partner) ed al contempo dell’impegno sempre più gravoso per le strutture ospedaliere. In totale i pazienti, in qualsiasi forma di trattamento sostitutivo della funzione renale, salgono da 165 dell’anno passato a 170, di questi 153 in emodialisi e 17 in dialisi peritoneale. I trapianti di rene quest’anno sono stati purtroppo solo 5 (circa il 10% dei pazienti candidati in lista), ma qualcosa si sta muovendo rispetto agli anni scorsi.

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Sono oltre 35000 i pazienti che in Italia si sottopongono - quotidianamente o tre volte alla settimana - alla dialisi. Nella sola Lombardia si contano circa 7000 pazienti. Cifre importanti, da non sottovalutare. Tali da suscitare allarme – e non poco – fra i responsabili delle programmazioni sanitarie di tutte le Regioni del nostro Paese e del mondo, Paesi emergenti compresi. Ad inquietare è soprattutto la continua escalation dei soggetti che si ammalano. Il “problema”, dunque, non è solo italiano poiché in altri Stati europei (vedi Germania) e nel mondo (es. in USA e nelle regioni del Sud-est asiatico) le dimensioni sono anche più preoccupanti. In gran parte ciò è dovuto a ragioni genetiche, vale a dire ad una predisposizione che si eredita, ma è ormai assodato che anche stili di vita non corretti possono giocare la loro parte. I dati dell’ultimo censimento disponibile, a cura del Registro Italiano di Dialisi e Trapianto (2008), si basano sui ¾ della popolazione residente e dicono, tra l’altro, che la maggior parte (oltre il 90%) dei 35000 soggetti di cui dicevamo all’inizio, sono pazienti che effettuano l’emodialisi. Ovvero il trattamento salvavita di chi, dopo aver raggiunto lo stadio finale della malattia, deve sottoporsi due o tre volte la settimana ad una procedura ospedaliera che rimuove dal sangue le scorie tossiche che si accumulano. Quelle scorie che i reni malati non riescono più ad eliminare. Nel lodigiano, dove vivono circa 220.000 abitanti, sono poco meno di 170 i pazienti in dialisi, per oltre l’80% in emodialisi ed i rimanenti in dialisi peritoneale, la dialisi che è possibile effettuare al domicilio attraverso un piccolo catetere inserito in addome. Nel 2010 sono stati quasi 50 invece i nuovi ingressi in dialisi nel nostro territorio, circa 1700 nell’intera Lombardia. Volendo affrontare la questione dei costi, in un’epoca in cui i sistemi sanitari sono costretti a confrontarsi responsabilmente con l’emergenza delle risorse, in Italia la spesa per questi pazienti raggiunge nel complesso circa il 2% delle budget per la sanità. Il che, tradotto in cifre, sfiora quasi i mille milioni di euro. A cui dovrebbero essere aggiunti i costi dei trasporti casa/ospedale e viceversa, quelli dei farmaci in genere molto costosi (come l’eritropoietina), quelli per i ricoveri (quasi uno all’anno in media), oltre alle pensioni di invalidità e di accompagnamento. Di fronte ad un tale onere, anche sociale, l’impegno fondamentale di tutti, al di là di coloro che rivestono ruoli di governance, deve essere quello legato alla prevenzione. In primo luogo per cercare di evitare sofferenze e preoccupazioni frutto di trascuratezza. L’insufficienza renale cronica infatti, la condizione che più o meno lentamente può portare nel tempo alla dialisi, non è solo una condizione a se stante. Non parte sempre dal rene come malattia acuta originaria, una alterazione rapida della funzione renale forse più facile da riconoscere, ma è causata anche da altre patologie o situazioni di rischio - spesso molto più conosciute - che subdolamente e silentemente coinvolgono nel tempo il rene. Questi stati morbosi sono ad esempio il diabete, l’ipertensione arteriosa, le malattie cardiache. Inoltre, alcuni studi su grandi popolazioni hanno potuto documentare che l’insufficienza renale è un fenomenale moltiplicatore di rischio cardiovascolare, alla pari - se non addirittura più potente - dei cosiddetti fattori tradizionali quali ipertensione, colesterolemia elevata, fumo, attività sedentaria. Vale a dire, non solo l’insufficienza renale può complicare altre situazioni di malattia ma, una volta insorta e soprattutto negli stadi avanzati, aumenta la probabilità che i soggetti siano colpiti anche da accidenti cardiovascolari come infarto ed ictus. Per questo, per le inevitabili ricadute sulla qualità della vita e per il carico emotivo talora drammatico che grava sulle famiglie dei pazienti in dialisi e poiché le malattie renali decorrono spesso per molto tempo senza dare segno di sé, è necessario coinvolgere la popolazione con un’opera di sensibilizzazione e di educazione. Così dal 2006 è stata indetta la giornata mondiale del rene (il secondo giovedì del mese di marzo) che, in collaborazione con la Fondazione Italiana del Rene, la Croce Rossa Italiana e, qui a Lodi, con il sostegno decisivo del Comune e della Associazione Amici della Dialisi e della Nefrologia nel lodigiano, organizza una articolata campagna di informazione nelle piazze e nelle scuole superiori per aumentare la consapevolezza della gente sui rischi connessi alle malattie renali. E in particolare su come cercare di prevenirle. Bastano infatti pochi accorgimenti: ricordarsi di misurare e tenere ben controllata la pressione arteriosa, un esame delle urine, pochi esami del sangue fra cui il dosaggio della creatinina. Se eseguiti regolarmente consentono di accorgersi per tempo che qualcosa non funziona. Non solo. Una volta accertata la presenza di insufficienza renale è possibile comunque cercare di rallentarne l’evoluzione. Per questo la stretta collaborazione e la sinergia con i medici di famiglia è essenziale, in particolare nel campo di malattie insidiose e per lungo tempo silenti quali sono appunto quelle renali. Spetterà dunque ad essi, nei casi sospetti, chiedere l’intervento dello specialista che per quel che riguarda l’approfondimento e la cura delle malattie renali di natura internistica è il nefrologo. Anche il riferimento tardivo al nefrologo è riconosciuto come un fattore di rischio di per sé: le persone giunte tardivamente alle cure specialistiche nefrologiche vanno incontro a problemi molto più gravi rispetto a quelli presi in carico più precocemente. In questa prospettiva vi è sempre necessità di dare più spazio ad una informazione più capillare sull’importanza di modificare alcuni stili di vita come la sedentarietà, l’abuso di farmaci analgesici, l’eccessivo consumo di sale (sia per abitudine ad aggiungerlo sulle preparazioni alimentari sia come scelta di alimenti molto saporiti). Tutto ciò ancor prima del luogo comune di bere molta acqua. Mantenere uno stato di adeguata idratazione è sempre una buona consuetudine, soprattutto durante l’esposizione ad ambienti caldi o nella stagione più torrida. Vi sono affezioni renali infatti, come la calcolosi, in cui bere in abbondanza è forse la misura più importante. Il nostro organismo tuttavia possiede straordinari meccanismi di regolazione (la sete è uno di questi) e non è sempre necessario “forzare” oltre il necessario tale equilibrio. Un paradigma di questo particolare problema sono le persone anziane, per le quali il senso della sete è meno efficiente, ma in caso di insufficienza renale anche iniziale (più frequente proprio in questa categoria di persone), può essere addirittura controproducente introdurre eccessive quantità d’acqua. Dunque, non potendo generalizzare, i suggerimenti e la cura del proprio medico e, in casi selezionati, la consulenza del nefrologo diventano preziosi. Vorrei infine concludere con un aspetto molto delicato per il risvolto umano ed emotivo e per le domande oggettive di coscienza che pone. Ciascuno di noi deve sentire il richiamo ad una corresponsabilità circa la diffusione della cultura della donazione, in questo caso d’organo. Una questione di portata molto più ampia, tuttavia strettamente connessa anche ai malati di rene che sono stati fra i primi a beneficiare di questa terapia. Sebbene Papa Benedetto XVI si scagli giustamente contro l’abominevole traffico di organi, orrenda piaga sempre più diffusa, è ancora lui stesso ad esortare ed incoraggiare la scienza su questa via definendola “una forma peculiare di testimonianza della carità” (Udienza ai partecipanti al congresso internazionale sul tema: «Un dono per la vita. Considerazioni sulla donazione di organi», 7 novembre 2008). Il trattamento dialitico risulta essere ancora oggi il trattamento sostitutivo della funzione renale di gran lunga più diffuso, ma occorre un deciso cambiamento di mentalità per incrementare il ricorso al trapianto da molti considerato come la terapia ideale. Sicuramente non si tratta di un percorso totalmente esente da problematicità, in particolare per le terapie antirigetto a cui è indispensabile sottoporsi; nondimeno si ritiene che esso offra al malato di reni una possibilità di cura con la più elevata qualità di vita. L’Italia, purtroppo, ha ancora il tasso di trapianto di rene più basso: 3,3% pazienti all’anno contro gli 11,6% della Spagna e i 7,1% del Regno Unito. L’offerta di organi risulta sempre sensibilmente inferiore alla domanda con liste d’attesa che si allungano. Non si tratta dunque solo di chiedere, con decisione, un impegno concreto a chi occupa - a tutti i livelli - posizioni di governo nella politica sanitaria, ma anche di iniziare a farsi promotori attivi di una concezione per cui “in un periodo come il nostro,” - è ancora Papa Ratzinger a parlare – “spesso segnato da diverse forme di egoismo, diventa sempre più urgente comprendere quanto sia determinante per una corretta concezione della vita entrare nella logica della gratuità. “L’atto d’amore – continua il Papa - che viene espresso con il dono dei propri organi vitali permane come una genuina testimonianza di carità che sa guardare al di là della morte perché vinca sempre la vita”.

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