Natale con gli italiani a Bedford

L’Ialia va ben al di là dell’Italia. Non lo si pensa mai, ma al di là delle Alpi un popolo di emigranti ha sempre lo sguardo fisso sulla madrepatria. Come la comunità di italiani a Bedford, in Gran Bretagna. È come un grande paese di quattordicimila abitanti, incastonato, quasi una perla tricolore, in una cittadina inglese sui centomila. Proprio l’altro giorno, un’autorità inglese riconosceva: “Gli italiani hanno marcato socialmente e psicologicamente la nostra città”. Lo ripete con fierezza padre Mario Dalla Costa, il parroco degli italiani, già qui negli anni ’70, che li accompagna dal battesimo al cimitero, un invidiabile, riposante prato verdissimo. Insieme a pakistani, indiani, polacchi o altre ondate di emigrazione i nostri italiani sono ormai una parte viva della cittadinanza. Sono cittadini, considerati parte interamente di un insieme. “Non cittadini interamente a parte, come spesso è chi emigra in Italia” aggiunge qualcuno di loro, maliziosamente. Provengono tutti dal nostro Sud, in particolare dalla regione di Avellino, Benevento, Napoli e Sicilia. Lavoravano in massa a costruire mattoni in varie fabbriche del luogo. Erano gli anni sessanta, anni della ricostruzione delle città inglesi, in particolare di Londra. Ora, vecchi e malandati si trascinano lentamente alla chiesa della Missione italiana per la veglia di Natale. È animata quest’anno, naturalmente in perfetto inglese, da un gruppo grazioso di una quindicina di bambini della catechesi, tutti loro nipotini. Raccontano la storia meravigliosa della nascita di Gesù. E il miracolo si compie quasi subito. Quando arriva Antony, un pargoletto di appena quattro settimane, posto tra la paglia sotto l’altare. Il gruppo di bambini canta imperturbabile Astro del ciel, mentre lui strilla accanto, a contrappunto, con tutte le sue energie. Una corale inedita. Commovente. Infine prende sonno, dolcemente. Un’assemblea fittissima di vecchi emigrati italiani guarda, ammira e pensa forse quanto ha pianto essa stessa per poter rinascere, crescere qui in terra straniera. Ricostruire la propria vita tra mille e una difficoltà. Anche se qui, nel mondo inglese, a differenza che da noi, freedom, la libertà di fare, di intraprendere, di lanciarsi è senz’altro impareggiabile. Senso di un antico popolo di mare, dove ogni terra è sempre oggetto di desiderio, di conquista, di orizzonti aperti. “Sono venuti moltissimi da un ambiente mafioso e povero” continua padre Mario, vivace ottantenne, parlando dei nostri “ma qui hanno dovuto rimboccarsi le maniche, credere in stessi, camminare da soli. Sono stati ammirevoli!” Accanto al presepio, l’albero di Natale si illumina grandioso, come in tutte le chiese inglesi. Ma avverti, altrettanto grandioso, un forte senso di comunità, di radici comuni e di italianità. Un popolo che camminava nelle tenebre, che veniva da lontano si era messo un giorno in viaggio. Come Maria. Vive ora la notte di Dio. È, forse, il Natale più vero. Al posto di chi non si è mai mosso dalla sua terra. Che non potrà mai capire questo bambino, nato lontano da casa, da una famiglia in cammino, sprovvista di tutto e sperduta. Una nascita tra pecore e pastori, che ha sconvolto le frontiere della terra, dall’Oriente dei re magi alla fuga in Egitto. Come sempre, Dio attende alla frontiera. Lo si incontra in cammino. Invito potente per tutti - specie per chi è rimasto ancorato alla propria terra - a costruire comunità. A formare un popolo unico con coloro che camminano, a inseguire insieme la luminosità di una stella, valori grandi e comuni. “Non il proprio tornaconto” ti soffia qualche italiano qui, mostrando uno sguardo attento a vicende di casa nostra “non l’interesse privato o la propria ambizione!” In una calligrafia da bambino, si legge sotto l’albero di Natale: “Se vuoi che il mondo si apra a te, apri prima la tua mano”. A Bedford, una volta terra di emigranti, è successo così.

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