Migranti, distinguere per capire

Welfare e migranti: tema caldo, ma per affrontare la questione è fondamentale distinguere i soggetti e le situazioni per evitare confusioni e conclusioni sommarie. Affrontare il tema delle migrazioni ci chiede di distinguere per capire meglio. Spesso si parla di migranti per intendere soggetti diversi: un conto sono i flussi migratori (le persone straniere in ingresso e in uscita nel nostro Paese) e un altro sono i cittadini stranieri. È sufficiente confrontare i dati per comprendere il peso diverso delle questioni. Gli andamenti ci dicono che a fronte di una quota d’ingressi fluttuante – passiamo dai 263.968 permessi di soggiorno concessi nel 2012 ai 238.936 del 2015 per poi tornare 262.929 nel 2016 -, c’è un costante aumento dei cittadini stranieri nel nostro Paese – passiamo dagli oltre 4 milioni del 2012 ai 5 milioni del 2016.

Quando ci concentriamo sulla relazione tra sistema di welfare e “migranti” sono soprattutto i cittadini stranieri ad essere coinvolti, rispetto a quelli appena arrivati.

Questa presenza stabile è un fenomeno sociale silenzioso e costante.

L’Istat rileva che al 1° gennaio 2017 rimangono sopra i 5 milioni.

Si tratta di uomini, donne e bambini che studiano, lavorano costruiscono la loro famiglia nel nostro Paese. Molti di loro seguono un processo d’integrazione fino al suo completamento: nel 2016 oltre 200mila persone hanno acquisito la cittadinanza italiana; altri decidono poi di riprendere il loro viaggio: sempre nel 2016 circa 42mila persone si sono trasferite all’estero.

Quando si ragiona su questa popolazione è difficile contare le spese per il welfare, perché sono simili a quelle per un italiano.

D’altronde, anche loro pagano le tasse, come gli altri.

Lo ha recentemente confermato il presidente dell’Inps, Tito Boeri, quando nella sua relazione annuale evidenzia che gli immigrati forniscono ogni anno un bacino di 150mila contribuenti in più per il nostro Paese. Nel Rapporto Inps si evidenzia anche che il contributo netto della comunità migrante al sistema previdenziale italiano è di 36,5 miliardi di euro.

Se si bloccasse il loro ingresso si perderebbero, nei prossimi 20 anni circa, 73 miliardi di euro con un saldo negativo per le casse dello Stato di 38 miliardi, dato che nello stesso periodo 35 miliardi sarebbero impiegati in prestazioni sociali per loro.

Per avere un indicatore della proporzione dell’impatto sulla spesa pubblica dei cittadini stranieri si possono osservare i costi delle amministrazioni comunali sostenuti per i servizi sociali: nel 2013 – ultimo dato a disposizione dell’Istat – su quasi 7 miliardi di spesa complessiva sostenuta dagli enti locali, poco più di 200 milioni sono stati impiegati per la voce “nomadi e migranti”.

Anche alla luce di queste veloci indicazioni appare evidente che i cittadini stranieri sicuramente godono dei servizi di welfare del nostro Paese: frequentano le nostre scuole, accedono ai nostri ospedali se sono malati, etc. Ma, allo stesso tempo, contribuiscono a sostenerne le spese.

Un esempio concreto è dato dalla presenza degli studenti stranieri nelle nostre scuole, che ormai sfiora il 10% del totale degli alunni. Già nel 2014 si trattava di oltre 700mila bambini e bambine, ragazzi e ragazze.

Per il nostro Paese è un investimento sul futuro, non solo un costo per sostenere il nostro sistema economico e produttivo, ma anche per integrare una popolazione che diventa sempre più pluriculturale.

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