“Mi merito” una scuola migliore

Ricordo ancora molto bene il metodo applicato dal mio prof di lettere Emilio Fontana alle medie per saggiare quotidianamente il livello di apprendimento di noi alunni. E devo dire che ci spronava a migliorare, ci stimolava nell’applicazione allo studio, ci aiutava a crescere in autostima. In breve il sistema era molto semplice. La classe veniva divisa in due gruppi separati e contrapposti. Da una parte i «Romani» dall’altra i «Cartaginesi». I «Romani» ci venivano presentati come i legittimi eredi della civiltà ellenica, il popolo che si distingueva per valore, coraggio e saggezza, in sostanza finire nel gruppo romano voleva dire essere bravi, un gruppo che godeva di maggior considerazione da parte del prof. Diversamente i «Cartaginesi» erano i rozzi, gli incivili, gli sconfitti, e per noi alunni significava disimpegno, scarso rendimento e poco interesse pur nella possibilità di dimostrare di essere capaci di recuperare. In poche parole, tanto per chiarire, la classe era divisa tra bravi e ciucci. I bravi cercavano, attraverso una sentita partecipazione alle lezioni, di mantenere la posizione conquistata, mentre i ciucci cercavano di impegnarsi per passare nel gruppo dei bravi. Un sistema che condizionava anche il mantenimento del posto occupato in aula. Ancora oggi ricordo il giorno della mia vittoria personale quando riuscii a passare dai ciucci ai bravi. Fu per me una grande soddisfazione passare tra gli agognati «Romani». Nuovo posto, nuova compagna di banco. Non poteva capitarmi di meglio. Uno schianto! L’invidia scuoteva l’animo di qualche pretendente rimasto al palo. Ma tutto durò lo spazio di un mattino. La bionda, come veniva chiamata, dopo un’interrogazione andata male dovette cambiare fila e andare a finire tra i «Cartaginesi», ovvero tra i ciucci. Che delusione. Questa premessa è necessaria per meglio capire la sperimentazione adottata dal ministero con il progetto «Mi Merito» una scuola migliore, a cui hanno aderito 18 scuole sparse lungo lo stivale con 185 classi per un totale di circa quattromila alunni tra scuola elementare, media e superiore. In pratica si tratta di consegnare ai ragazzi con risultati brillanti, distintivi, medaglie, coccarde, brevetti di riconoscimento, scudetti d’eccellenza, stelle di condotta d’oro e d’argento. Riconoscimenti tangibili ritenuti utili per sottolineare l’applicazione e la serietà nello studio nonché il livello di comportamento in classe. Una sorta di gratificazione continua a cui aspirare per tutto l’anno scolastico. Una consegna a tempo affidata al docente coordinatore dietro precise indicazioni espresse dal consiglio di classe che va nella direzione di riconoscere l’impegno indipendentemente dal risultato accertato. La medaglia o qualsivoglia emblema, infatti, viene assegnata per un periodo limitato, in genere per due o tre settimane per poi essere restituita all’insegnante per essere utilizzata per la premiazione di altri alunni. La consegna dei riconoscimenti può avvenire dopo una brillante interrogazione o un ottimo risultato per un lavoro autonomo, oppure dopo ogni rilevazione nelle scuole primarie e dopo ogni consiglio di classe nelle superiori. Tutto bene? Pare proprio di sì. Tutti entusiasti del buon andamento della sperimentazione. Presidi, insegnanti e genitori riconoscono l’efficacia del metodo che ha una sua validità gratificante dal momento che consente di premiare chi mostra una precisa volontà di migliorare anche senza manifestare un particolare impegno. Una sottolineatura merita la variabile psicologica che, come è stato dimostrato, innesca una competizione positiva tra i ragazzi. Non che sia una novità questa del «Mi Merito». Un sistema simile lo applicava Protagora di Abdera e in un certo senso anche Pitagora nella sua scuola di Crotone. Il primo, da buon sofista, ricorreva alla tecnica del bilancino nei confronti dei suoi allievi. Si faceva pagare di meno da quei ragazzi che ottenevano ottimi risultati, di più da quelli che facevano fatica o che presentavano problemi di apprendimento. In sostanza dava mazziate ai ciucci e gratificazioni, anche di natura economica, ai bravi. Qualcosa del genere si riscontrava nella scuola di Pitagora. In questo caso non si trattava di soldi, ma di passaggi qualificanti riservati agli allievi all’interno della scuola. Il Maestro soleva dividere i suoi allievi in Matematici e Acusmatici. I primi godevano di una certa attenzione tanto da avere il privilegio di poter avvicinarsi a lui, di affiancarlo e di vivere un’esperienza esaltante riservata solo a una ristretta cerchia di allievi. Erano gli eletti. Diversa la sorte per gli altri. Per gli Acusmatici, infatti, la vita all’interno della scuola era più faticosa. A loro si riservava un periodo di iniziazione. Erano gli allievi «impuri», quelli che dovevano dimostrare con l’impegno, la costanza e i risultati, di meritare l’appartenenza alla sua “setta”. Tutto era legato ai risultati e all’impegno profuso. Se fossi vissuto a quell’epoca non avrei avuto scampo. Sarei rimasto Acusmatico a vita. La matematica non l’ho mai digerita. Mi è sempre stata indigesta. Personalmente preferisco il Pitagora filosofo. Fatto sta che certi metodi sembrano forti innovazioni, ma in realtà la storia ci riserva non pochi esempi. E’ pur vero dire che la questione «Merito» non sempre ha trovato e trova il favore di pedagogisti e di teorici della valutazione. Eppure la faccenda va posta in maniera più concreta. Il ragionamento deve partire da una diversa constatazione. Molti ragazzi hanno delle attitudini che se non portate fuori rischiano di rimanere un patrimonio nascosto nel profondo del proprio io. «La natura ama nascondersi» soleva dire Eraclito, da qui la convinzione che non sempre si riesce a far venir fuori la vera indole di un adolescente. Si tratta, allora, di cercare la via che consente a un insegnante di valorizzare non l’apparenza, ma ciò che è rinchiuso in un orizzonte privato poiché esiste, quantunque sconosciuto persino al diretto interessato. A questo punto, vista la posta in gioco, ogni mezzo può avere la sua importanza. Che ben vengano medaglie, distintivi, coccarde, brevetti di riconoscimenti e quant’altro utili e necessari a gratificare impegno, sacrificio, risultati e serietà nello studio. Non si conosce il valore della gratificazione se non si conosce il suo opposto.

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