Ci sono momenti in cui la natura, irrisa e umiliata dalle frenetiche attività umane, scatena la sua furia e fa tremare tutte le espressioni dell’organizzazione sociale ed economica. Ed è proprio in questi momenti che essa emana quel fascino misterioso e sacrale, che ha conservato nelle antiche religioni pagane e nella stessa dottrina cristiana. Ecco, si spalancano le cateratte del cielo, l’acqua piegano sulle fondamenta, carcasse di auto si accatastano alla rinfusa insieme con i segni del benessere. Non è l’apocalisse, ma l’ennesima catastrofica alluvione. Oggi è Genova che conta i suoi morti, ieri le Cinque Terre e la Lunigiana. Domani, ci chiediamo, a chi toccherà? Non è una domanda retorica. Le alluvioni sono diventate un fatto normale nel nostro Paese. Nel corso degli ultimi dodici mesi si contano almeno cinque eventi gravi, mentre fino agli anni Novanta si registrava un evento ogni 10-15 anni. Perché le alluvioni da noi sono di casa? Il clima ha certo le sue colpe, con cambiamenti nella circolazione e piogge più intense e concentrate. Ricordiamo per inciso che, secondo reportages giornalistici, gli ultimi disastri sono stati accompagnati da piogge veramente eccezionali.
In Lunigiana e Cinque Terre si sono registrati 300 mm nelle ventiquattro ore, con punte di 145 mm l’ora. Su Genova è esplosa una bomba di acqua: 530 mm di pioggia in poche ore. Secondo la generalità degli scienziati, la causa remota risiede nel riscaldamento globale, per la sua capacità di immagazzinare maggiori quantità di vapore ed energia nell’atmosfera.
Gli esperti, però, puntano il dito sull’abbandono dell’agricoltura e l’incuria generalizzata del territorio, che sono preludio alla cementificazione. I suoli artificialmente impermeabilizzati non trattengono le acque piovane e le fanno scorrere in superficie a gran velocità, mentre i sistemi fognari, progettati in tempi in cui gli aggregati urbani erano di dimensioni insignificanti, non appaiono commisurati a smaltire afflussi di acqua tanto imponenti. Insomma, piove e le città vanno sott’acqua, perché nessuno ha pensato a mettere in sicurezza un territorio noto per la sua vulnerabilità idrogeologica.
Una vasta bibliografia, risalente agli ultimi sessanta anni, mostra che il Bel Paese affonda nel cemento ed è, al tempo stesso, sede delle alluvioni ricorrenti.
Non si tratta di una casuale coincidenza, poiché i due fenomeni sono strettamente associati, secondo quanto affermano concordemente studiosi e ambientalisti. Per convincersi che la nostra cattiva fama nell’uso del cemento è ben meritata, basta scorrere i dati nell’ambito delle indagini planetarie condotte dalla Columbia University (2005). Secondo stime che scaturiscono dai progetti internazionali GRUMP e GPW3, l’Italia ha il primato negativo mondiale dell’urbanizzazione, con il 24,5% di suoli artificialmente impermeabilizzati o in varia misura antropizzati.
Alcuni studiosi sono dell’avviso che queste stime sono esagerate e inficiate da erronee metodologie. Può essere vero, ma è interessante notare che il dato nazionale è di una grandezza semplicemente sbalorditiva, come si può rilevare dal fatto che esso supera di 22 volte la media della Russia (1,1%), di 9 volte la media mondiale (2,7%) e di circa 3 volte la media degli U.S.A. (8,3%).
Questi dati confermano purtroppo che l’Italia soffre del mal del mattone e che è pertanto a forte rischio alluvioni ed altri eventi estremi come frane e smottamenti, con conseguenze drammatiche per il suo paesaggio, che in passato ha incantato schiere di poeti, artisti e visitatori.
Perché si costruisce tanto? La casa è sempre stata bene rifugio e forma di investimento del risparmio delle famiglie. Secondo i dati della Banca d’Italia, la ricchezza immobiliare degli italiani è pari a 5 mila seicento miliardi di euro, che è una cifra enorme, pari all’incirca a tre volte il Prodotto interno lordo (Pil), ed è costituita in gran parte da abitazioni. Un milione e 200 mila sarebbero le case vuote.
A giudizio degli esperti questa immensa ricchezza immobiliare è il tallone d’Achille, per la semplice ragione che investire soldi nelle case non fa crescere l’economia nazionale.
C’è anche da osservare che nella società industriale e, soprattutto, nell’economia globale, il grande investimento immobiliare attira i capitali speculativi, nazionali e internazionali, attratti dai pochi rischi e dalla possibilità di lauti profitti. Questi dati sono tali da sconsigliare la costruzione di nuove case, anche in considerazione del fatto che la cementificazione dei suoli sottrae lo spazio vitale all’agricoltura e all’ambiente rurale.
La politica, invece, ha una idea differente che favorisce l’edilizia attraverso i diversi strumenti che è possibile mettere in campo: Piani casa, Piani di governo del territorio (Pgt), riqualificazione urbana, allentamento dei vincoli nei Parchi naturali, mitigazione delle regole urbanistiche. Spunta perfino con gran clamore l’Housing sociale, da sempre annunciato e mai realizzato.
Mi preme rimarcare che questo governo è arrivato addirittura a ipotizzare, in dichiarazioni informali, l’abolizione della concessione edilizia, pur dando atto che il partito del cemento non ha colore.
Se questo Paese si vuole salvare dalle alluvioni, deve in via prioritaria azzerare la crescita urbana (urban sprawl) e destinare grandi risorse finanziarie alla difesa del suolo e alla messa in sicurezza del territorio. E questo ambizioso obiettivo da una parte darà nuova linfa all’agricoltura e all’economia, dall’altra avrà positive ricadute sull’occupazione.
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