Il recente episodio di un’insegnante colpita alle spalle da numerosi pallini sparati con una pistola ad aria compressa in un istituto superiore di Riolo Terme in provincia di Ravenna durante l’intervallo da uno studente risentito per i rimproveri ricevuti, mi ricorda uno dei tanti episodi che di questi tempi hanno come target (bersaglio) preferito i docenti chiamati a svolgere un lavoro che in quanto a valori etici si è piuttosto offuscato. L’assoluta relatività dei valori si riflette in maniera negativa sulla stessa formazione dei ragazzi. Pare che fare l’insegnante oggi sia un lavoro pericoloso ancor più che faticoso.
Del resto come non rimanere sbigottiti di fronte ai tanti episodi di docenti «processati», rei di valutazioni sgradite a lor signori, scherniti da studenti sempre pronti a cavalcare il malcontento, malmenati da genitori arrabbiati per le punizioni date, offesi se non umiliati in quanto ritenuti professionalmente incapaci di insegnare.
Molti docenti hanno conosciuto l’amarezza dell’isolamento sociale, alimentato da una cultura attenta ad additare più gli episodi che squalificano che l’opera che qualifica. E’ pur vero che è proprio l’opera didattica svolta in classe ad essere esposta ad atti censori a tal punto da essere sottoposta facilmente a una sorta di revisione critica affidata a professori esterni chiamati a predisporre processi di confutazione. D’accordo.
Tutto è discutibile a motivo del quale ciò che oggi appare come inconfutabile potrebbe un domani essere messo tranquillamente in discussione. La trasmissione del sapere è sempre stata condizionata dall’evoluzione del pensiero se non dagli eventi storici. In geografia, ad esempio, i confini e la cultura di un popolo degli anni settanta, non corrispondono più ai confini e alla cultura storica di oggi.
Tanto è stato messo in discussione e tutto può ancora essere messo in discussione. A tal proposito Einstein amava ricordare ai suoi studenti: «quello che io oggi vi scrivo sulla lavagna, domani la natura lo cancellerà».
È un monito che dovrebbe essere sempre presente nella mente di tutti, ovvero accettare il principio secondo cui ciò che oggi appare inconfutabile non necessariamente sarà destinato a esserlo per sempre. E questo mette maggiormente in difficoltà l’insegnante, per il fatto che lo espone a valutazioni professionali soggette a impietose critiche proprio in virtù della confutabilità del sapere. Un dubbio, infatti, assale spesso qualche genitore.
Chi dice che ciò che insegna un docente in classe sia corretto? E allora giù a demolire l’opera e con essa a distruggere il rapporto educativo che faticosamente giorno dopo giorno viene costruito in classe con i ragazzi. Ma tutto questo a certi studenti come pure a certi genitori importa poco o nulla.
Ciò che diventa importante è impegnarsi a recuperare una cultura che ben si adatta a demolire la sua stessa identità professionale. E in quale ambito operare se non proprio là dove prende forma il processo formativo? La scuola per questo diventa un ottimo campo di battaglia.
Tutti diventano maestri e nel contempo tutti diventano paladini e avvocati difensori. Una tal cultura giustifica e normalizza la gran parte dei problemi che sorgono nelle scuole piuttosto che quelli che si presentano a casa o ai giardinetti tra coetanei. Gli studenti a scuola sono come il lievito con la farina.
È a scuola che si materializzano le ottimali condizioni per mettere in discussione la presenza stessa del docente. Ostacolare una lezione, disturbare un rapporto, giocare a ledere l’equilibrio professionale di un docente in classe diventa per tanti ragazzi un esercizio virtuoso. Un esercizio che, spogliato del suo stesso alone negativo, diventa un’originale esperienza di cui vantarsene.
E allora? E allora è cosa normale e comprensibile utilizzare un telefonino durante la lezione; alzarsi spesso, senza chiedere permesso, per spostarsi da un banco all’altro; interrompere di tanto in tanto una spiegazione con osservazioni fuori contesto; aprire un libro per preparare l’interrogazione prevista nell’ora successiva; mandare a quel paese un insegnante; affacciarsi alla finestra per prendere una boccata d’aria (manca l’ossigeno in classe). Sono forse tutte stranezze? Sono forse comportamenti censurabili? Che male c’è? E poi.
Lo faceva persino Diogene il Cinico (il pazzoide della botte) che mentre assisteva alle lezioni di Zenone sull’inesistenza del movimento, per contraddire il maestro camminava da una parte all’altra dell’aula. E’ un classico.
Il pensiero di uno viene demolito dal contro-pensiero di un altro. Non importa se a contrapporsi sono allievi e maestri.
L’importante è farlo. Del resto cosa c’è di male? Anzi. Se malauguratamente dovesse arrivare una punizione cosa c’è di più semplice se non quello di chiamare immediatamente casa, alla presenza del docente, e chiedere aiuto ai genitori?
È dimostrato che in questi casi in men che non si dica «arrivano i nostri» in atteggiamento da sommossa e come giustizieri dai tratti cinerei, si dimostrano decisi nell’affrontare il docente possibilmente lì davanti a tutti gli allievi e sfoderare il meglio delle proprie abilità oratorie fino a farlo cadere in contraddizione. Che soddisfazione!
Quale sublime occasione viene a concretizzarsi, calpestando ogni etica educativa per rivendicare i diritti lesi del figliolo e infliggere una sacrosanta punizione a chi si è permesso di mettere in dubbio la parola del ragazzo. Per i genitori è un modo come un altro per mantenere rapporti di amicizia con la «meglio gioventù».
Peccato che ci si ricorda di essere amici e ci si scorda di essere genitori.
Cosa muove questi genitori a un così elevato grado di complicità fino a essere emotivamente coinvolti al punto da minare la stessa capacità di giudicare in maniera obiettiva. In questo modo si rischia di offuscare la propria presenza educativa piuttosto che illuminarla. Ai genitori non mi rimane che rivolgere un invito.
Alzate la testa! Ritenere che l’unica opinione che conti a difesa del proprio ragazzo sia la propria, rende prigionieri del proprio solipsistico punto di vista. È facile così perdere la visione etica del rapporto educativo. A rimetterci, come sempre, saranno i ragazzi. C’è forse qualche genitore che vuole questo?
© RIPRODUZIONE RISERVATA