Maturità 2014: il novecento a tutto spiano

C’era una volta Salvatore Quasimodo che dopo un decennio viene riproposto all’esame di Stato per l’ambito letterario tra espressioni un po’ sorprese e qualche faccina da sms ben visibile tra i maturandi. Comunque tranquilli perché le prove, ha affermato il Ministro Stefania Giannini, «offrono una bella gamma di possibili riflessioni. Credo che questa prova darà a tutti la possibilità di esprimersi al meglio». E così è stato. Se la tipologia A ha creato qualche preoccupante mimica facciale sia pure esorcizzata dal brano proposto «Ride la gazza, nera sugli aranci», non altrettanto si può dire delle altre tipologie, in sintonia con le aspettative dei ragazzi. Per il saggio breve grande rilievo è stato dato alla «cultura del dono» come scambio reciproco di solidarietà e di riconoscimento di umanità, ma a un’attenta riflessione non è sfuggito il suo lato oscuro, quello che emerge nello scambio condizionato, quello regolato dal tornaconto, quello controllato fino a togliere la libertà di chi dona, quello perverso pronto a trasformarsi in «strumento di pressione» sul destinatario. Non meno degno di nota è quello più emotivo che ritorna sotto forma di ingratitudine, e qui Seneca ci viene in aiuto col suo «pro gratia odium reddere» - “restituire odio invece di gratitudine”. Interessante l’ambito socio-economico: ambiente, crescita demografica e cittadinanza mondiale, sentito quest’ultimo come superamento della divisione territoriale per educare le nuove generazioni al concetto di appartenenza a un unico grande, immenso territorio: la terra. Un invito a riflettere sull’inconsistenza culturale della divisione di genere, di razza, di etnia. La terra, quindi, come unico luogo aperto a tutti senza confini né fisici, né politici (immensa utopia), dove il diritto naturale di ciascuno di sentirsi parte attiva di essa, va a cozzare contro il divieto di chi è attento a rimarcare il diritto alla difesa della propria etnia, del proprio territorio. E che dire dell’ambiente? L’habitat che è pure casa e bottega, è qualcosa di più immenso, di più pregiato perché se tutelato, amato, difeso e coltivato, consente di raggiungere un notevole livello di qualità di vita sia pur contaminato da spregiudicati impulsi distruttivi umani a cui corrispondono i flagellanti fenomeni violenti della natura. «Alla natura si comanda ubbidendole» ci ricorda Sir Francis Bacon italianizzato in Francesco Bacone. Molto interessante è il terzo ambito della tipologia B, quello storico-politico «Violenza e non violenza: due volti del novecento». Si fa cenno a Gandhi e a Martin Luther King. Se i conflitti mondiali hanno umiliato gli uomini, loro hanno gridato alle coscienze una maggiore consapevolezza per la non violenza e per i diritti civili. «La non violenza è la legge della nostra specie, come la violenza è la legge dei bruti» ricorda Gandhi. Le grandi tragedie umane tra i popoli o le piccole brutali vicende tra persone lasciano sempre un solco profondo nella memoria storica di ciascuno. Purtroppo ancora oggi assistiamo impotenti ai tanti soprusi, alle diverse gravi ingiustizie, all’odio che si fa misura di tutte le cose, siano esse in ambito sociale, economico, politico o religioso. Assistiamo deboli e fragili alle brutali tragedie che si consumano in Nigeria a danno dei cristiani, alle brutali esecuzioni di massa di inermi civili in Iraq a causa di un conflitto dai contorni sempre più violento, alla violenza in Ucraina dove il valore dato alla diversità etnica ha preso il sopravvento sulla pacifica convivenza. Sono solo alcuni, ma drammatici esempi a noi tutti noti, per la brutale violenza messa in atto come esercizio di soluzione tra persone che vedono nella sofferenza, nell’imposizione della tirannica volontà le sole vie d’uscita. Di grande impatto riflessivo è l’opera di Martin Luther King, figura mitica degli anni sessanta rimasta tale ancora oggi per il suo impegno civile a favore «della faccia nera» d’America. Parliamo di un’America che vedeva nel colore della pelle il motivo per giustificare le distanze sociali, civili e morali tra uomini diversi solo per colore e razza. Ma è anche l’America che deve fare i conti con la marcia del milione di neri sotto il Campidoglio in occasione della quale il mondo ascolta la preghiera del proprio leader: «Ho un sogno: che un giorno questa nazione si sollevi e viva pienamente il significato del suo credo: che tutti gli uomini sono stati creati uguali». Di Mandela, tanto atteso dagli studenti, nessuna traccia. Percentuale molto alta registra la scelta dell’ambito tecnico scientifico dove viene messo in risalto l’importanza della tecnologia in grado di accontentare la sete di risposte che l’uomo attende dalle sue illimitate applicazioni. Ma proprio qui sta il suo limite. Porre nella tecnologia un’immensa potenzialità fino a cercare di trasmetterle caratteristiche umane pur sapendo che una macchina non può assorbire una coscienza. Una riflessione che mi riporta indietro nel tempo e mi fa ricordare un bel film di Alberto Sordi «Io e Caterina» dove il robot pare assumere una coscienza fino a limitare le scelte del suo padrone. Ma la macchina è sempre una macchina e tale deve rimanere, ovvero di aiuto all’uomo e mai elemento di sostituzione dell’uomo. Succede che l’intelligenza artificiale riesce a dare un forte impulso alla pigrizia umana tanto da indebolirne le capacità intuitive. E’ il caso, ad esempio, dell’ormai consolidato ricorso alla calcolatrice anche per i calcoli più semplici, tralasciando la forza della memoria. Quanti di noi hanno imparato tabelline e poesie a memoria! Abilità acquisite con l’esercizio, andato in disuso in concomitanza con l’uso degli strumenti tecnologici. Tuttavia resta innegabile l’aiuto che da tali strumenti ottiene la scuola. Si parla sempre più di scuole digitalizzate, di scuole tecnologicamente avanzate, iper-connesse, sempre più vicine ai ragazzi, ma per certi aspetti sempre più lontane dai docenti. Bellissima la traccia di cultura generale con il brano di Renzo Piano sulle degradate periferie ritenute dal grande Architetto le uniche in grado di trasmettere umanità e socialità. Il futuro passa dalla rivalutazione di questi quartieri. Una discorso a parte merita il tema storico. Parlare di Europa, in un’epoca in cui il sentimento prevalente si concretizza spesso nel flebile assioma «ce lo chiede l’Europa», non è facile. Ma evidentemente i ragazzi con l’ampia scelta registrata per questa tipologia, dimostrano quanta voglia hanno di approfondire, di andare oltre certi slogan per capire le radici e l’affermarsi della cultura europea nel vecchio continente. A noi il compito di rafforzare questo desiderio. Lo dobbiamo a questa generazione.

© RIPRODUZIONE RISERVATA