Matteo Renzi, la Camusso e il sindacato

Il conflitto aperto fra il Presidente del Consiglio ed il principale Sindacato merita qualche considerazione, non tanto per la manifestazione del 25 ottobre, su cui già sono stati espressi tanti commenti, quanto per l’incontro del lunedì successivo sulla Legge di stabilità: “surreale” è stato definito questo incontro da Susanna Camusso a cui Renzi ha risposto: «il governo non scrive leggi trattando con il sindacato» ; ed ha aggiunto, nella trasmissione serale di LA7 con Lilli Gruber «il sindacato le trattative le deve fare con le aziende». Voglio partire sottolineando il senso di queste affermazioni, in quanto esse hanno un significato preciso che non può essere sottaciuto: con la prima affermazione si nega un ruolo di rappresentatività generale che il sindacato, anche se in modo storicamente differente nelle tre confederazioni, ha sempre svolto, attribuendogli una funzione solo all’interno dei posti di lavoro. La storia del nostra paese è stata spesso fortemente caratterizzata dalla confusione dei ruoli: nel periodo della guerra fredda in cui vi era la cosiddetta “convenzione ad excludendum” nei confronti del PCI, questo partito attraverso il sistema consociativo allora vigente aveva la possibilità di intervenire sugli strumenti legislativi a favore dei propri rappresentati. Successivamente, alla fine di questo periodo, con Tangentopoli e la conseguente perdita di credibilità della politica, sono stati diversi i soggetti che hanno svolto un ruolo di supplenza, dalla magistratura al sindacato stesso, situazione che si è notevolmente accentuata nel periodo berlusconiano. E’ opinione comune che la debolezza delle nostre istituzioni risieda molto in questa confusione, ed è’ quindi legittimo il tentativo di Renzi di riportare nell’ambito della politica le decisioni che riguardano la società nel suo complesso. Ciò che mi sento di sottolineare è che, in ogni caso, la volontà di dissacrazione che anima il nostro Presidente del Consiglio, non dovrebbe dimenticare il contributo che la capacità di avere una visione generale della società da parte del sindacato ha fornito al nostro paese: basti ricordare Giuseppe di Vittorio con il Piano del Lavoro, Luciano Lama con la svolta dell’EUR che ha sotterrato la teoria del salario come variabile indipendente e Bruno Trentin propugnatore della Democrazia Industriale come strumento per una maggiore corresponsabilizzazione dei lavoratori nella gestione delle aziende. Proposte significative che andavano al di la del ruolo di rappresentanza di interessi particolari e che hanno contribuito a governare un percorso difficile di trasformazione del nostro paese, anche nei periodi bui come quelli del terrorismo e delle Brigate Rosse. Ma è anche la seconda affermazione che merita attenzione, quella con cui Renzi invita il sindacato a riprendere un ruolo contrattuale nelle aziende: lo richiamo perchè non si può non notare una palese contraddizione con le scelte politiche di fondo che il governo sta facendo in materia di lavoro, in quanto non si può sostenere la necessità di avere un sindacato più forte nei posti di lavoro ed operare invece coscientemente per contribuire al suo ulteriore indebolimento: perchè questa sarà la conseguenza dell’ulteriore ridimensionamento delle tutele del lavoro in caso di licenziamento senza giusta causa contenute nel job act. Mi domando che ruolo contrattuale potrà avere un sindacato nel momento in cui chi si azzarderà ad alzare la testa in fabbrica o nel posto del lavoro potrà incorrere nel licenziamento, con il rischio di non riuscire a trovare nessuna altra possibilità di occupazione in un mercato del lavoro che non offre prospettive? Purtroppo ciò che si deve constatare è che si sta cercando di restituire competitività al nostro paese percorrendo una strada che non ha al suo interno granchè di innovazione, come si sta sostenendo: è purtroppo una storia che abbiamo già visto in quanto compressione dei diritti e delle retribuzioni è la strada che il nostro paese ha percorso negli anni 50, immediatamente dopo la fine della seconda guerra mondiale e che ha sostenuto il boom economico degli anni ‘60: basta rileggersi il bel libro di Augusto Graziani “L’economia italiana 1945-1970” per trovarvi conferme. Per un Presidente del Consiglio che usa twitter, l’iphone e disdegna il giradischi ed il gettone telefonico usare ricette del passato più che un segnale di modernità rischia di essere, questo si, un messaggio di conservazione.

© RIPRODUZIONE RISERVATA