Matrimoni forzati anche in Italia

Un fenomeno sommerso di cui si parla poco ma che è in costante aumento anche in Italia, per effetto delle migrazioni e dei conflitti culturali vissuti dalle seconde generazioni. Si tratta dei matrimoni forzati, quando la donna viene costretta attraverso inganno, violenze o pressioni psicologiche a sposarsi contro la sua volontà. Se in più è una bambina, si parla di matrimoni precoci. Una serie di proposte e raccomandazioni, per prevenire e proteggere le donne che si trovano in questa situazione, sono state fatte oggi a Roma durante il convegno “Questo matrimonio non s’ha da fare! Matrimoni forzati. Conoscere il fenomeno per contrastarlo”, organizzato dal Coordinamento pari opportunità della Uil Roma e Lazio. Esistono, infatti, risoluzioni europee cui l’Italia dovrebbe adeguarsi da un punto di vista normativo e socio-assistenziale, stanziando fondi e formando insegnanti e servizi sociali.“In Italia non esiste alcuna rilevazione statistica in grado di determinare la diffusione dei matrimoni forzati”, ha detto Simona Lanzoni, della Fondazione Pangea e coordinatrice della Piattaforma Cedaw (Convenzione per l’eliminazione delle discriminazioni contro le donne), ma “da numerose inchieste locali e dall’esperienza di diverse associazioni che lavorano con le donne migranti, risulta un problema piuttosto frequente”. Spesso, ha spiegato, “si tratta di ragazze di seconda generazione nate e cresciute in Italia che, verso la fine della scuola dell’obbligo, vengono portate nel Paese di origine per sposare un marito perfettamente sconosciuto scelto dalla famiglia, con l’inganno o le cattive maniere: documenti sequestrati, botte, minacce psicologiche o rimpatrio forzato”. Molti casi, ha precisato, “rimangono sommersi perché le ragazze non sanno a chi chiedere aiuto, o non hanno il coraggio perché sanno che rischiano la vita. I servizi sociali sono spesso impreparati ad affrontare questo genere di casi”. Tanto più che “fare denuncia contro i genitori è difficile, e si rischia di essere rinchiuse in un Cie o di essere rispedite a casa o uccise”. Inoltre, “tra le vittime di matrimoni forzati c’è un alto rischio di suicidio, sequestro o riduzione in schiavitù”.I matrimoni forzati in Italia “non sono una notizia ma una realtà”, ha confermato Ejaz Ahmad, giornalista pakistano e mediatore culturale del Forum intercultura della Caritas di Roma. Ahmad ha raccontato diverse storie drammatiche che ha avvicinato personalmente, come il caso di Hina Saleem, la ragazza pakistana uccisa dai parenti nel 2006 a Brescia. “Nel subcontinente indiano - ha detto - abbiamo un’identità culturale di gruppo: si accettano i matrimoni combinati perché si pensa che la famiglia voglia il bene della ragazza. In realtà dietro questa pratica c’è solo una motivazione economica”. Il “corto circuito”, ha precisato, nasce in terra straniera con le migrazioni, quando le donne scoprono l’identità culturale individuale e la possibilità di avere dei diritti. Con la formazione delle seconde generazioni nelle scuole italiane il matrimonio combinato si è trasformato in matrimonio combinato forzato. Mi arrivano tante notizie dell’aumento dei suicidi di ragazze che non vogliono sposarsi”. In Gran Bretagna, ad esempio, questo problema è già stato affrontato: “C’è un numero verde a cui rivolgersi. Ogni anno più di 1.000 ragazze chiedono la protezione dei servizi sociali”, ha detto Ahmad, ricordando che quattro Paesi europei hanno già adottato normative in materia, mentre in Italia “non esiste una legge per sciogliere un matrimonio forzato” e “le nostre ambasciate non sono ancora preparate a contrastare il fenomeno”. Una commovente testimonianza è stata portata da Zeinab Jezzini, mediatrice culturale libanese, sposata con un matrimonio combinato in Libano, tre figli. Con la migrazione si è resa conto dei suoi diritti violati ed ha divorziato. Il marito gli ha sottratto i figli, che ora sono in Libano, rivolgendosi al tribunale sciita per riportare l’ex moglie alla “casa dell’obbedienza” e obbligarla “a tutti i doveri coniugali”. “Una donna che rifiuta e non rientra nella casa dell’obbedienza - ha spiegato - è considerata ‘nashiz’, allora il giudice determina l’uso della forza o la punizione appropriata. Per me questa legge è una violenza contro le donne, un vero terrorismo psicofisico mirato all’oppressione femminile. Tante donne come me non riescono a vedere più i loro figli. Spero che l’Italia faccia un passo per aiutarci, perché le nostre figlie non abbiano il nostro stesso destino”.Tra le proposte emerse durante il convegno, ricordate da Rosella Giangrazi e Pilar Saravia, della Uil di Roma e Lazio, e dalla sociologa Daniela Danna: la ratifica, da parte del Parlamento italiano, della Convenzione d’Istanbul contro la violenza sulle donne, che introduce il reato di matrimonio forzato; il monitoraggio nazionale del fenomeno; le campagne di sensibilizzazione nelle scuole e a livello di opinione pubblica; i servizi di protezione e accoglienza per le donne vittime di matrimoni forzati, con “adeguati stanziamenti”; la sensibilizzazione del ministero degli Esteri e del ministero degli Interni per facilitare procedure e permessi di soggiorno in caso di violenza e matrimoni forzati.

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