Tra le tante italiche vicissitudini, cui nel recente sono stati concessi ampi spazi giornalistici, mi corre quasi l’obbligo riprenderne due, selezionandole tra quelle che tolgono il sonno non solo a chi se le ritrova scottanti tra le mani, ma anche a chi dolorosamente le annota o le sperimenta sulla propria pelle.Volendo usare la terminologia sanitaria, trattasi in verità di due patologie, delle quali una a decorso acutissimo e l’altra a carattere cronico, riconducibili a due distinti termini: ambiente e cultura.Nell’accingermi a riconsiderarle, trovo del tutto appropriato il luogo comune del “non so da dove cominciare”, mentre la chiamata in causa dei topi nel titolo, sarà scoperta nel seguito. Provo a dare priorità alla meteo-cronaca, drammatica, incombente ed anche minacciosa per le poco rassicuranti previsioni alle viste.Da un lato, la Capitale, tutt’altro esente da colpe, che ripropone gli effetti dell’ennesima “bomba d’acqua” (termine che non mi piace ma che utilizzo per la sua efficacia evocativa); con le strade improvvisamente trasformate in tumultuosi torrenti, con le auto trascinate come vecchie scodelle da soffitta, con i volontari in calosce agli inguini ed anziani in spalla, con la Procura che apre la consueta indagine, con l’indecoroso balletto dello “scaricabarile” aperto dal sindaco che accusa l’Anas per la mancata manutenzione del Gran Raccordo Anulare e che pospone quella sulla viabilità urbana all’approvazione dello squinternato bilancio comunale (il cielo può attendere!).Dall’altro, l’incolpevole Coldiretti che presenta l’elenco dei preoccupanti danni ai frutteti, ai campi di mais, alle serre in Campania, in Toscana, in Emilia, e preannuncia l’avvio, giustificatissimo, delle ricorrenti pratiche a tutela delle aziende colpite da calamità.Non esistono dubbi che entrambe, a torto o a ragione, batteranno cassa e la celeberrima frase da qualcuno pronunciata “non metteremo le mani nelle tasche dei cittadini”, sarà ancora una volta smentita, allontanando l’auspicata e mai attuata riduzione della pressione fiscale, per noi primato europeo (44%), pare insieme all’Ungheria.L’altissimo conto che stiamo continuando a pagare e che ha ormai assunto proporzioni colossali, non sembra sia stato ancora messo in relazione, oltre che con il riscaldamento atmosferico, con l’orrendo, irresponsabile saccheggio delle ricchezze naturali consumatosi negli ultimi quarant’anni. Ormai non si sa più a chi addossare colpe e responsabilità di un siffatto scempio: alla cattiva politica? Al voto di scambio? All’inefficienza dell’esecutivo? Alla scarsa lungimiranza imprenditoriale? Alla corruzione dilagante? Alla difesa a oltranza dei privilegi scambiati per diritti? All’atavico egoismo? Alle organizzazioni criminali?Il risultato netto, è comunque tragicamente visibile ed invariante a Genova, in Sardegna a Ravenna o a Giampilieri, visto che ormai gran parte del suolo italiano è a rischio idrogeologico.Certo il nubifragio su Roma, al termine della scorsa quindicina di Giugno, è stato qualcosa in più di una crisi poliurica che ha improvvisamente aggredito la popolazione murina del Tevere, ma credo sia consentito chiedersi se il consuntivo fosse stato così pesante con i tombini della città perfettamente in ordine!E ancora una volta affiora l’interrogativo insistente: che fare? Cosa consigliare al giovane Renzi, sempre più di sovente colto da crampi addominali al pensiero del crescente debito pubblico da coniugare con la necessità di crescita, cui fanno da contraltare simili disastri? Può tornare pertinente l’auspicio, già in altra occasione formulato, che insieme al rigore amministrativo, alla rivoluzione etica più volte annunciata, faccia proprio, con la sua ostentata determinazione, l’ammonimento che emerge dal rapporto dell’ “Intergovernmental Panel on Climate Change”, presentato qualche giorno fa a Berlino, corredato di una serie di scenari con i quali viene descritto l’incremento termico, e le conseguenze che comporterà entro il 2.100, in assenza di interventi. Nel segmento dedicato alle proposte, viene richiamata ancora una volta l’attenzione sulle opportunità economiche che i Paesi industrializzati debbono, senza più rinvii, cogliere, per affrontare in unica mossa il cambiamento climatico e il tanto invocato rilancio produttivo. Rapportando prospettive e rimedi alla realtà di casa nostra, sono quelle le opportunità cui bisogna puntare con decisione e convinzione onde offrire ai giovani attività lavorative dignitose, in grado di trattenerli in patria: riqualificazione delle periferie, risparmio energetico, riassetto territoriale, risanamento ambientale nei vari comparti, lotta all’abusivismo edilizio, riduzione delle emissioni, afforestazione (neologismo usato per le colture rapide capaci di rimuovere anidride carbonica dall’atmosfera), mobilità pulita e più silenziosa per uomini e merci, ricerca e ottimizzazioni di fonti rinnovabili già note o, parallelamente promettenti come i biocombustibili algali a crescita veloce per produrre energia elettrica, riducendo al contempo quel pavido tremore quando Putin minaccia di chiudere il gasdotto a Kiev.È vero: occorrono soldi.Per reperirne una cospicua quota si potrebbe cominciare dal celere sequestro di beni a tutti quei furfanti che da “Trieste in giù”(mi si passi la citazione canora), passando per la Laguna, hanno ovunque arraffato e continuano ad accumulare enormi risorse per il privato tornaconto, contando, quasi fosse un diritto, su di una consolidata impunità.Seconda malattia, questa davvero esclusivamente nostrana. Leggo notizia, tratta dal rapporto della Fondazione Symbola, che nel 2013 la “cultura” ha fatto girare in Italia 214 miliardi di euro. Chi può negare che, utilizzando meglio lo specifico potenziale di cui il Paese dispone, tale cifra avrebbe potuto assumere ben maggiore consistenza? Dal rapporto emerge che tra le città più virtuose si annoverano Arezzo, Pesaro, Urbino, Pordenone, Treviso. Noto, con rammarico e con una certa stizza, le assenze di Palermo, Agrigento e Napoli.Forse è una ...semplice dimenticanza.
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