Ma qui a sbagliare sono padre e figlio

Il caso è scoppiato quando è stato presentato un servizio in televisione. E’ scoppiato un putiferio. Mi riferisco allo studente diciottenne invitato dalla preside dell’Alberghiero di Arzachena in provincia di Olbia a lasciare la scuola per un paio di piercing. Galeotti, dunque, sono stati quei due piercing, l’anellino al naso e il classico brillantino sotto la palpebra, che hanno rovinato la giornata al giovane studente. Il problema? Il look creativo che imperversa nelle scuole fatto di piercing, creste colorate, pance ombelicate, scalpi a rasta. Ma siamo sicuri, nel nostro caso, che è tutta colpa dei due piercing? In fondo ci sono anche i regolamenti che disciplinano la vita interna di un istituto scolastico. Da ricordare che il ragazzo era già stato invitato dalla mia collega a rispettare il regolamento interno d’istituto. Ma cosa dice questo regolamento? All’art. 18 si legge: «non è consentito il possesso di piercing, orecchini, acconciature di pettinature che non garantiscano l’assoluta igiene personale e la salvaguardia di ambienti salubri». Qui c’è dunque un articolo di un regolamento, approvato all’unanimità dal Consiglio d’Istituto e quindi anche dalla rappresentanza studentesca, che è stato violato. Un atteggiamento di sfida all’istituzione e a chi la rappresenta. Ora se è vero che «L’obbedienza non è più una virtù», come ebbe modo di scrivere Don Milani fondatore della scuola di Barbiana, è altrettanto vero che in determinati casi, ambienti e circostanze, obbedire non solo è una virtù, ma è anche una necessità se si vuole crescere secondo il principio educativo del rispetto dell’ordine morale che regola i rapporti tra persone. Del resto obbedire non significa conformarsi. Obbedire è un semplice atto di umiltà. Ma la tracotanza giovanile si sa a volte sfocia in atti che nulla hanno a che vedere con l’azione educativa della scuola. Sembra quasi che obbedire sia un atto inaudito e che i ribelli siano gli eroi della delirante fantasia di certi adulti. L’atteggiamento del giovane, in questo caso, si è trasformato in rifiuto di una regola, spalleggiato in questo dal padre che, prendendo le difese del figlio, (cosa normale di questi tempi) ha avviato un contenzioso contro la preside responsabile di aver rimandato a casa il ragazzo vittima di regole «fuori dal tempo dal momento che si configurano come una vera e propria discriminazione». Dunque secondo il padre del ragazzo, escludendo dalle lezioni il figlio che ha scelto di trasgredire il regolamento poiché in contrasto con la sua visione etica della vita scolastica, è stato commesso un atto discriminatorio e perciò stesso da punire. Ragion per cui da punire è la preside e non il ragazzo. E infatti ha depositato una denuncia contro la preside presso la locale stazione dei carabinieri. A un errore commesso dal ragazzo, si è aggiunto un altro errore commesso dal genitore. E’ come dire che le regole sono fatte per essere trasgredite e chi è chiamato a farle rispettare è un soggetto da denunciare o da mettere alla gogna. A questo punto una domanda è d’obbligo. Cosa potrebbe mai accadere se qualcuno decidesse di non pagare la multa irrogata dal vigile che ha agito nel rispetto del regolamento comunale solo perché ritenuta ingiusta? O cosa succederebbe se nonostante l’invito a non calpestare le aiuole nel rispetto di un regolamento ambientale, qualcuno decidesse di trasgredire, ritenendo l’invito illogico o non rispondente a una personale visione della pubblica utilità di un giardino? Sarebbe la fine del significato di legalità, del suo valore etico, della funzione delle regole della vita sociale. Sarebbe il caos! E’ anche vero che i tempi sono cambiati, che i ragazzi di oggi hanno una personalissima visione dell’abbigliamento da indossare, dell’essere se stessi, del modo di relazionarsi con l’ambiente e il prossimo. Tuttavia è compito della scuola, ma anche di chi educa e i genitori fino a prova contraria sono i primi educatori, far capire l’importanza del rispetto delle regole a garanzia del principio dell’uguaglianza. Se certe regole valgono per alcuni, queste non valgono per altri perché diversa è la concezione che si ha della libertà, allora è la fine del significato stesso di libertà, in quanto ognuno si sente il diritto di essere libero di fare o di interpretare a proprio piacimento le regole di vita comunitaria. Ed è proprio quello che è accaduto all’Alberghiero di Arzachena. Il ragazzo ha dato una sua personale interpretazione della libertà di applicare il regolamento che disciplina la vita scolastica all’interno del suo istituto. Per lui un regolamento non può limitare la libertà di portare piercing, proprio perché i tempi sono cambiati. La sua visione etica entra in contrato con quella della comunità in cui trascorre molte ore e la risposta migliore che pensa di dare è proprio quella di ribellarsi, trasgredire, convinto com’è di essere lui nel giusto e chi è chiamato a far rispettare il regolamento è in errore. Il suo concetto di libertà annulla quello di trasgressione, lo mette in sordina perché lui vede e sente dentro di sé cose che gli altri non vedono e non sentono. Se così fosse allora devo dire che questo ragazzo è veramente originale, ma nel senso restrittivo del termine. Un discorso a parte merita il padre del ragazzo che ferito nell’orgoglio delle sue ragioni non riconosciute, decide di depositare una denuncia contro la preside. Ha fatto male. Anzi malissimo. E non solo perché ha deciso di dare ragione al figlio e torto alla preside, in fondo è suo padre e ha preso una decisione, quella di difendere il figlio, ma soprattutto perché non ha mostrato una certa razionalità che in simili circostanze non dovrebbe mai mancare. E la razionalità vuole le sue regole tra cui quella che nella vita non si finisce mai di imparare, perché uno non può pretendere di avere sempre e comunque ragione. E’ Karl Popper a ricordarcelo quando scrive che «all’uomo irrazionale interessa avere sempre ragione, all’uomo razionale interessa imparare». Ma evidentemente di regole e regolamenti padre e figlio non sanno che farsene.

© RIPRODUZIONE RISERVATA