Ma di quale preside stiamo parlando?

Parte in Parlamento la discussione sulla «Buona Scuola» targata Renzi: relatrice del disegno di legge sarà Maria Coscia del Pd Tutto in discesa dunque? Macché. Da più parti si vuole innestare il freno a mano. Un muro è stato eretto da parte di sindacati e di associazioni di categoria che vogliono la revisione totale del disegno di legge. I timori di vedere uscire dal Parlamento una legge fortemente annacquata è dunque reale. Tra i problemi grossi sollevati con insistenza viene insistentemente riproposto l’eccessivo potere che verrà riconosciuto ai presidi. In prima fila a puntare il dito contro ci sono i sindacati. Evidentemente per i sindacati «la lingua batte dove il dente duole», a motivo del quale un preside che finalmente viene messo nelle condizioni di amministrare una scuola con ampi poteri di scelta, ebbene questo preside non piace. D’altro canto a questa figura, che evidentemente spaventa, viene preferita quella di un capo d’istituto sottomesso ad una super presenza sindacale nella scuola che possa esercitare il diritto di veto sulle decisioni da prendere, che possa condizionare le scelte importanti che toccano anche la sfera educativa e didattica, che possa servire ad una logica esclusivamente sindacale indipendentemente dai risultati da raggiungere. E tutto questo in nome di una tutela del personale. Ma di quale personale si parla? Chi tutela i presidi impegnati e lungimiranti che pure sono presenti e operano nelle nostre scuole? Chi tutela le famiglie e gli alunni da certi insegnanti che potrebbero benissimo fare un altro mestiere? Come garantire un servizio pubblico così delicato come quello che si svolge a scuola? Sono domande legittime, messe su in maniera schietta, ma richiamano l’importanza di certi contenuti. D’accordo i docenti vanno tutelati come pure tutelati vanno i bidelli e il personale di segreteria da certi presidi padroni che amano impostare una relazione professionale, rifugiandosi in uno sguardo bovino così malvissuto da esprimere più disgusto che stima nei confronti dell’interlocutore. Occorre precisare, però, che bisogna difendere la scuola da certe insidie che arrivano da genitori e studenti poco rispettosi delle istituzioni e di chi le rappresenta. Ma che sia il preside il maggior problema della scuola, mi sembra un tantino esagerato. Che sia stata questa l’immagine ad aver spinto alcuni parlamentari a inserire nel disegno di legge di prossima discussione un emendamento sulla figura del preside elettivo? Ovvero un preside non più vincitore di concorso, ma eletto, a tempo, dal collegio dei docenti? Un preside privato delle sue più elementari responsabilità, ma pur sempre chiamato a pagare gli errori di tutti. Se ne parla spesso e con sempre più spazio sulla stampa specializzata. Si è scatenata una campagna di stampa su questa figura solerte nel ridicolizzare i nuovi poteri che la legge sulla «Buona Scuola» vuole riconoscere. Diciamo la verità. Il problema maggiore è la «chiamata diretta». Si ha paura di un sistema che potrebbe mettere le basi per un neo clientelismo gestito più o meno spudoratamente da presidi senza scrupoli, approfittando della mancanza dei necessari contrappesi. A quanto pare a temere sono i docenti, i bidelli e tutto il personale della scuola. E ora anche l’A.Ge. (l’Associazione dei Genitori) della Toscana vede in questo dei seri rischi per la scuola. Vuoi vedere che il male della scuola è tutto qui. Vuoi vedere che finalmente si è scovato il «Leviatano» di Hobbes, ovvero il “mostro” che desidera gestire il potere più di ogni altra cosa, che aspira al dominio assoluto su tutto e su tutti? Il preside che forse nascerà (il dubbio a questo punto è d’obbligo visto le barricate che da ogni parte si levano contro) è già stato soprannominato «preside sceriffo», «preside sindaco», «preside padrone», «preside autocrate» tanto per rimanere su gentili epiteti. Stiamo parlando di un preside che sarà chiamato a decidere eventuali materie aggiuntive, a scegliere gli insegnanti, a sistemare gli alunni per classi, a decidere quali professori premiare, a scegliere la sua squadra amministrativa, a scegliere le aziende per gli stage. Un “mostro”, come da più parti è stato sottolineato, creato dalla «Buona Scuola di Renzi e dal Ministro trasformista Giannini». Un “mostro” che fa paura perché, come scrive un’insegnante su un quotidiano online, finirà per utilizzare questi poteri contro: «i frustrati per farsi giustizia, i matti per far fuori chi gli sta attorno, gli ambiziosi per far fuori gli avversari, i deboli per non soccombere, i mafiosi per salire le vette del comando». Dopo di che mi chiedo: ma siamo sicuri che stiamo parlando della figura del preside? Probabilmente i timori si riferiscono a quanto fatto dal mio collega Gianni Maddalon preside dell’Istituto Superiore «Einaudi-Scarpa» di Montebelluna, in provincia di Treviso, che ha provveduto a licenziare un docente di ruolo «per incapacità professionale», in sostanza per demerito. Ma Gianni Maddalon non si è comportato da «mostro». Perché non è possibile pensare di lasciare una classe nelle mani di un docente, a detta anche dei suoi stessi colleghi, non in grado di svolgere il suo ruolo. Un docente che assegnava voti a casaccio, che non correggeva le verifiche e che ha subìto una regolare attività ispettiva promossa dalla Direzione Scolastica Regionale del Veneto. Di fronte a casi così gravi e così eclatanti può un preside, che agisce nell’interesse generale della scuola e specifica degli studenti e delle loro famiglie, assumersi la responsabilità di licenziare? Forse che ha agito con prevaricazione o come un “mostro leviatano” per aver scagliato la sua ira contro il più debole? Personalmente dico che ha fatto non bene, ma benissimo! Perchè a mio parere i più deboli in questa storia sono gli alunni che hanno dovuto sopportare per qualche tempo un docente di siffatta scarsa professionalità. Un docente che si è avvalso, tra l’altro, del diritto di ricorrere contro la decisione del preside, ma che ha visto la sentenza del Giudice del lavoro coincidere non solo con gli interessi sollevati da famiglie e alunni, ma anche con “i poteri” riconosciuti al mio collega. In tutta sincerità chi non mette passione per questo lavoro, meglio che lasci perdere.

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