Ma perchè sono costretti a fuggire?

L’Europa può accogliere tanti migranti? Questa la domanda posta dal quotidiano francese “La Croix” a Papa Francesco

in una intervista pubblicata il 17 maggio. La risposta del Papa è stata semplice ed efficace: “È una domanda giusta e ragionevole perché non si possono aprire le porte in modo irrazionale. Ma la questione di fondo da porsi è: perché ci sono tanti migranti oggi?” Una questione spesso elusa dall’opinione pubblica, nei dibattiti o nelle opinioni sui media mainstream, relegata a nicchie di addetti ai lavori che operano nella cooperazione internazionale, nelle emergenze umanitarie, nell’accoglienza ai migranti e nelle varie iniziative di solidarietà. Nel mondo, secondo gli ultimi dati dell’Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i rifugiati (Unhcr), alla fine del 2014 vi erano 59,5 milioni di migranti forzati rispetto ai 51,2 milioni di un anno prima e ai 37,5 milioni di dieci anni fa. L’incremento rispetto al 2013 è stato il più alto mai registrato in un solo anno. L’Europa, compresa la Turchia che ha accolto oltre 1 milione e mezzo di siriani, ha riportato il maggior incremento di migranti forzati, passando da 4,4 milioni di persone nel 2013 ai 6,7 milioni a fine anno. Nel 2014 si è registrata la quota record di 626mila richieste d’asilo. La media italiana è di un rifugiato ogni 1000 persone (1,2 la media europea). Nel 2015 ne sono arrivati circa 1 milione dalla rotta balcanica. Le domande giuste da porsi sono dunque: perché le migrazioni sono in aumento? Quali sono le cause? L’Europa ha delle responsabilità?

La maggioranza di coloro che tentano l’ingresso in Europa, come riferito dall’Unhcr, sono migranti in fuga da guerre, conflitti e persecuzioni: più dell’85% di quelli arrivati in Grecia vengono da Siria, Afghanistan, Iraq e Somalia, tutti Paesi che acquistano armi ed equipaggiamenti militari anche da Paesi dell’Unione europea.

Qui è ben noto che gli occidentali hanno tentato di esportare la democrazia con effetti controproducenti. Le esportazioni di armi dai Paesi europei sono in crescita: secondo il recente dossier di Caritas Europa “Migranti e rifugiati hanno diritti” ammontavano a 36 miliardi di euro nel 2013, pari al 30% del totale mondiale. Solo la Francia ha negoziato 15 miliardi di euro in commercio d’armi nella prima metà del 2015, compresa la vendita al Qatar e all’Egitto di jet da guerra.

Inoltre i Paesi europei sono a volte direttamente coinvolti in azioni militari nel Medio Oriente, nel Nord Africa e nell’Africa sub-sahariana (la Francia in Mali e nella Repubblica Centroafricana). “La partecipazione alle azioni militari via terra e aria da parte delle forze armate degli Stati membri dell’Ue in Afghanistan, Libia ed Iraq – si legge nel dossier -, sembra aver inasprito i conflitti e radicalizzato la polarizzazione fra le forze contendenti” e “determinato seri effetti di radicalizzazione, fra cui l’espansione dello Stato islamico”. Le industrie statunitensi continuano a vendere armi all’Arabia saudita, che le usa per bombardare lo Yemen. Da non dimenticare anche la guerra in Ucraina, di cui non si parla più, che ha provocato altissimi numeri di sfollati.

Sono ancora tanti nel mondo i Paesi dove non c’è libertà di espressione e le persone vengono perseguitate e non hanno alternative se non la fuga.

In Italia arrivano moltissimi migranti dall’Eritrea, dove da decenni regna indiscusso Isaias Afewerki, condannato dall’Onu per crimini contro l’umanità a causa della sua politica repressiva. I giovani eritrei fuggono perché altrimenti sarebbero costretti al servizio militare a vita.

Dimenticate sono anche le situazioni del Gambia, dove da vent’anni il regime viola i diritti umani con arresti arbitrari e torture, o della Guinea equatoriale, con derive autoritarie nei confronti della popolazione.

Poco democratici, come dimostra la cronaca, sono anche la Turchia e l’Egitto, che le organizzazioni per i diritti umani chiedono di dichiarare “Paesi non sicuri”.

Se viviamo in un mondo in cui l’80% delle ricchezze mondiali sono in mano al 16% della popolazione e solo 62 persone possiedono quanto la metà dei più poveri è facile comprendere che il sistema economico e finanziario globale è concepito per produrre povertà, ingiustizia e disuguaglianze sociali. Le persone fuggono dai Paesi poveri – geograficamente identificati nel Sud del mondo ma oramai le povertà sono anche nelle periferie delle grandi città del Nord – perché non trovano opportunità lavorative. Anche le élite locali, spesso corrotte o conniventi con grandi imprese straniere, non investono nello sviluppo economico e sociale, non ci sono servizi sanitari, scuole, welfare. Chi non ha alternative per una vita degna non ha diritto a cercarne una migliore altrove?

Siccità che provoca depauperamento del suolo e conseguente carestia; alluvioni e inondazioni in zone dove solitamente non piove mai; cicloni, tempeste, ondate di caldo o di freddo; fuoriuscite di petrolio o altri disastri che inquinano i mari e bloccano le attività produttive. Secondo quanto riporta l’ultimo dossier di Legambiente “Profughi ambientali: cambiamento climatico e migrazioni forzate” a causa del riscaldamento globale nel 2010 ci sono stati circa 385 catastrofi naturali con più di 297.000 vittime e oltre 42 milioni di persone nel mondo forzate a spostarsi. Nonostante ciò ancora non esiste uno status previsto da convenzioni internazionali o legislazioni nazionali per i “migranti ambientali”. In Europa solo Svezia e Finlandia li includono nelle politiche migratorie nazionali.

Lo sfruttamento della pesca in Senegal, le pipeline (oleodotti, metanodotti, gasdotti) in diversi Paesi africani, ad esempio nel Delta del Niger, la costruzione di dighe che deviano fiumi (in Brasile, in Cina), le attività minerarie estrattive che deturpano l’ambiente e ammalano le popolazioni: sono solo alcune situazioni che dimostrano come gli interessi economici, anche occidentali, impattino sui territori rompendo gli equilibri naturali e costringendo le persone a fuggire perché non riescono più a procurarsi la sussistenza o perché l’ambiente è inquinato e procura malanni gravi.

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