Sarebbe miope, oltre che ipocrita, negare che il fenomeno della presenza di mendicanti abbia assunto nella città di Lodi, come del resto in tutto il paese, dimensioni rilevanti (per il numero di persone protagoniste) e preoccupanti (per la tragicità delle situazioni che rivela). È una presenza certamente invasiva, se per tale intendiamo una visibilità diretta, impattante, concreta: la città incontra attraverso le mani o i cappelli protesi di queste persone il dramma di vecchie e nuove povertà che stanno dentro la comunità, ne capta ineludibilmente le richieste di aiuto, coglie il senso reale delle dimensioni della crisi che non risparmia nessuno, lodigiani e non, italiani e non. Molti, la grande maggioranza, arrivano dall’Africa: moltissimi sono usciti nel 2013 dall’esperienza dell’“Emergenza Nord Africa” iniziata nel 2011 con l’esodo verso l’Italia di circa 50.000 persone a seguito delle cosiddetta “primavera araba” e della guerra in Libia: il Governo di allora, Presidente Silvio Berlusconi con all’Interno Maroni, si inventò una gestione scellerata ed onerosa dell’emergenza (costata alla collettività 1 miliardo e 300 milioni di euro), affidata alla Protezione Civile (competente in tutto meno che nella governance dell’immigrazione) a seguito della quale più di 20.000 persone vennero scaricate in alberghi e strutture fatiscenti al costo di 46 € persona/giorno (che sia chiaro quindi, non finivano nelle loro tasche, come più o meno velatamente hanno fatto e fanno intendere i titoli di troppi quotidiani) e trattenute nel limbo di una condizione giuridicamente non definita fino al 28 febbraio 2013. Terminata l’emergenza tutte quelle persone si sono ritrovate sulla strada senza alcuna possibilità di integrazione, di accoglienza, di lavoro, di sussistenza: oggi li incontriamo ad ogni angolo di strada e se gli chiedi perché rispondono semplicemente “devo mangiare!”. Sentiamo parlare di insistenza nel chiedere la carità (perché, al netto di tutte le interpretazioni ideologiche, di questo si tratta!): può essere che qualcuno reiteri più volte l’implorazione, può essere che il tono della voce possa disturbare, può essere che incontrare dieci volte in cento metri dieci mani protese esasperi lo stato d’animo, ma l’insistenza non può essere spacciata per molestia che, per definizione letterale, presuppone un’azione che produce turbamento del benessere fisico o della tranquillità spirituale. Sentiamo parlare di disagio: ci mancherebbe, chi non si sentirebbe a disagio constatando che nella sua città non tutto è scontato, non tutti hanno un tetto e cibo per sfamarsi, che il divario tra ricchi e poveri è sempre più ampio, che la disperazione sovrasta di molto la serenità, che il benessere non è di casa in ogni casa e in ogni strada dove al contrario la fanno da padrone la povertà e la disperazione? E’ forse per questo che la si vuole sottrarre alla vista con un divieto generalizzato di mendicare, arrivando a vietarlo in particolare nelle aree di maggior transito, rilevanza politica, culturale, religiosa, economica e commerciale della città? Si preferisce, cioè, sottrarre il problema alla vista piuttosto che affrontarlo per individuare possibili soluzioni. Sentiamo parlare di apprensione: suona strano per i cittadini di un paese in cui si spara nelle strade della capitale in occasione di una partita di calcio o si crocifigge sotto un ponte una prostituta!Ma, rimanendo nella città di Lodi, sarebbe ancora più miope e ipocrita negare che apprensione ci può e ci deve essere per situazioni che stranamente rimangono sottotraccia: in città e a più riprese si sono verificati episodi di violenza nei confronti di inermi cittadini, di operatori e volontari di associazioni ed enti, i cui protagonisti non erano i mendicanti ma persone che vivono da tempo ai margini della società, senza fissa dimora, schiavi di dipendenze, vittime di solitudine, uscite spesso da percorsi di recupero finiti male o da espiazioni di pene detentive; sono gli utenti delle mense e dei dormitori della città, sono quelli che cercano rifugio nei piani alti dell’ospedale, che bivaccano sulle rive del fiume, che occupano spazi abbandonati nella periferia della città. Questo mondo di grave emarginazione può e deve trovare attenzione e riflessione da parte della Pubblica Amministrazione per individuare percorsi di accoglienza e assistenza che prevedano l’apertura di centri diurni strutturati, di mense e dormitori adeguati, di una rete che colleghi tutti i soggetti coinvolti (Comune e Servizi Sociali, ASL, SERT, Caritas, Comunità e Cooperative Sociali); e non possono rimanere estranee alle dinamiche che da questa area di grave ed evidente disagio si riverberano sulla vita della municipalità le Autorità di Pubblica Sicurezza e la Magistratura, laddove risulti evidente l’impossibilità a gestire diversamente e con altri strumenti comportamenti che eludono o che violano palesemente le Leggi del civile convivere. Leggi e regolamenti che anche a livello locale prevedono modalità di intervento per la lotta all’accattonaggio molesto da parte della Polizia Locale e delle Autorità di Pubblica Sicurezza. Parlare di organizzazioni criminali che gestiscono il mercato della questua, inoltre, impone la disponibilità di elementi probanti e circostanziati da produrre alla Magistratura che, avendone valutata la attendibilità, potrà avviare le conseguenti attività di investigazione e persecuzione: certamente non possono rappresentare merito di discussione ipotesi, illazioni, supposizioni, dicerie. A riguardo, infine, della proposta “sanzione accessoria della confisca amministrativa del denaro provento della violazione e di eventuali attrezzature impiegate nell’attività”, viene da pensare ai miliardi di evasione che ogni anno prendono il volo dalle casse statali (e comunali) e ai tanti strumenti (fra cui anche il falso in bilancio e l’emissione di fatture false) che molti noti evasori impiegano per sottrarre soldi allo Stato : faremo aprire a Lodi tanti voluminosi fascicoli per la confisca di 5, 10, 50 euro e di tante mani e tanti cappelli di poveri disperati in cerca di un pezzo di pane? E’ fuori discussione che si stia parlando di un problema planetario, sicuramente continentale, alla cui risoluzione devono concorrere in modo concreto ed adeguato tutte le Istituzioni coinvolte; dall’ONU alla Comunità Europea, dallo Stato alle Regioni; ma è partendo dalle singole comunità locali che si può iniziare a lavorare approfondendo le analisi e le conoscenze, confrontandosi sulle criticità, studiando possibili percorsi di accoglienza e integrazione. L’11 dicembre scorso Papa Francesco ha lanciato la campagna “Una sola famiglia umana, cibo per tutti!” con queste parole: “Lo scandalo per i milioni di persone che soffrono la fame non deve paralizzarci, ma spingerci ad agire, tutti, singoli, famiglie, comunità, istituzioni, governi, per eliminare questa ingiustizia”. Solo qualche decina di questo milione di persone mendica pane e vita nella nostra città: vogliamo agire per eliminare l’ingiustizia che li relega a scarti della comunità allontanandoli dalla nostra vista e sottraendo loro i pochi euro raccolti o vogliamo provare ad aiutarli affrontando il tema delle povertà diffuse e almeno tentando di trovare qualche soluzione a casa nostra? «Gli uomini, non avendo potuto guarire la morte, la miseria, l’ignoranza, hanno creduto meglio, per essere felici, di non pensarci» (Blaise Pascal, Pensieri, 168)
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