Ma intanto la Germania corre troppo

La Germania «resta il motore economico» europeo e tutti «dovremmo diventare un po’ più tedeschi», almeno per quanto riguarda la produttività e il rigore di bilancio. Eppure, detto questo, la stessa Germania finisce per la prima volta sotto la lente di osservazione della Commissione di Bruxelles, «rea» - se così si può dire - di avere un’eccessiva eccedenza di bilancio e un sistema produttivo e commerciale troppo forte rispetto al resto dell’Unione e rivolto all’esportazione. Succede anche questo nell’Europa della crisi e della disoccupazione dilagante. Eppure le decisioni assunte dall’Esecutivo comunitario hanno la loro logica, desumibile dall’analisi di una serie di corposi documenti presentati il 13 novembre. Fra questi testi - con i quali prende formalmente inizio il quarto semestre europeo per il coordinamento delle politiche economiche e di bilancio - figurano l’»Esame annuale della crescita» (fissa le priorità economiche e sociali degli Stati membri per il prossimo anno, da perseguire mediante riforme e politiche coerenti), il «Rapporto sul meccanismo d’allerta» (identifica disequilibri e rischi sistemici all’interno del mercato unico), i pareri sui progetti di bilancio dei Paesi di Eurolandia, i rapporti sulle procedure per deficit eccessivo e, non ultimo, il Rapporto congiunto sul lavoro. Ebbene, dalla presentazione di questi tasselli della complessa strategia di governance, voluta dai 28 Stati Ue e coordinata dalla Commissione, sono emersi almeno cinque punti fermi. Il primo tende a iniettare fiducia: «L’economia Ue è giunta a una svolta. Gli sforzi comuni cominciano a dare risultati e la crescita sta lentamente ripartendo». L’annuncio viene dal presidente della Commissione, José Manuel Barroso, cui fa eco il commissario competente Olli Rehn: «Le previsioni economiche», presentate la scorsa settimana, «dimostrano che siamo sulla buona strada». A questo punto servono, per l’Esecutivo Ue, stabilità politica in tutti gli Stati, timone fermo su riforme e aggiustamento dei conti pubblici e, essenziale, «la creazione di posti di lavoro, specie per i giovani».Punto secondo. Visto che le economie dei Paesi Ue sono sempre più interdipendenti (specie quelli che adottano la stessa moneta) «è chiaro - puntualizza il presidente della Commissione - che la politica economica non è più solo una responsabilità nazionale» perché le azioni di ogni Paese influiscono sugli altri, «quindi c’è un interesse europeo da tutelare insieme». «La Commissione non può e non vuole certo gestire le politiche economiche nazionali - si sente in dovere di ribadire Barroso -. Si tratta di garantire che ciò che è buono per un Paese membro lo sia anche per gli altri».E qui arriva la Germania (terza convinzione emersa). «La Germania - dichiara ancora Barroso - è uno dei motori dell’economia continentale ed è un valore aggiunto per l’Ue. Si riscontrano però stabili eccedenze nelle partite correnti» e in particolare un saldo fortemente positivo dovuto all’export..«Nessuno di noi si sogna di contestare la competitività della Germania. Ma quello che vogliamo stabilire è se tale orientamento» del più grande Paese comunitario «frena la ripresa altrui, o se invece può essere riorientato» allo sviluppo dei Paesi vicini. Ad esempio aprendo il mercato dei servizi alle aziende degli altri Stati dell’Unione; oppure favorendo la domanda interna (»riequilibrando il livello dei salari con la produttività») che ha a sua volta ricadute fuori dai confini teutonici; investendo nelle economie dell’Ue… Insomma, la politica berlinese, gli industriali tedeschi, il sistema-Paese nel suo insieme, dovrebbero tendere la mano all’Europa. Il benessere nazionale non può intralciare la ripresa altrui: su questo punto la Commissione prende coscienza di un dibattito innestatosi da tempo in Europa. Ma se la Germania mostra un’economia troppo «forte», altri 15 Stati dell’Unione vedono aprirsi procedure - quarta evidenza - da parte della Commissione. I problemi sono differenti: la Francia «perde competitività» e mostra un deficit superiore al 3% consentito da Eurolandia; l’Italia «deve proseguire con le riforme avviate», poste sempre «a rischio dalla possibile instabilità» politica; squilibri eccessivi si rilevano per Spagna, Ungheria, Slovenia; l’economia croata è in affanno. Sotto osservazione finiscono inoltre Belgio, Bulgaria, Danimarca, Malta, Paesi Bassi, Finlandia, Svezia e Regno Unito e persino il Lussemburgo. Il quinto punto fermo - ma bisognerebbe partire da qui - lo ricorda Laszlo Andor, commissario all’impiego: «La priorità per tutti deve restare il lavoro. Senza lavoro le famiglie» non arrivano a fine mese, i giovani «non hanno futuro», gli squilibri sociali aumentano, «la povertà si diffonde», ponendo a sua volta in pericolo la stabilità sociale. Chissà se Angela Merkel, nello stendere il programma del nuovo governo, ne terrà conto.

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