Ma dove sono finiti i docenti maschi?

“Salvate il soldato Ryan” è il titolo di un famoso film di Steven Spielberg che vedeva in azione una manipolo di soldati americani a cui era stato ordinato di portare a casa sano e salvo l’ultimo dei fratelli Ryan rimasto in vita durante la seconda guerra mondiale. Per analogia suggerirei a Spielberg di girare una pellicola dal titolo “Salvate il docente maschio”, razza vertiginosamente ridotta per estinzione sociale a fronte di un’eccessiva femminilizzazione della scuola. Ma perché la rara presenza dell’insegnante maschio nelle scuole è diventato un problema? Intanto precisiamo che a sollevarlo è stato un insegnante autore di una lettera, ripresa e pubblicata su alcuni quotidiani on-line, in cui afferma la necessità di garantire un aumento della presenza maschile tra i docenti che vede, al contrario, un’eccessivapresenza femminile nei diversi gradi dell’istruzione a partire dalla Materna per finire alle Superiori. Non è un mistero, infatti, che oggi nella maggior parte dei consigli di classe di ogni ordine e grado di scuola la presenza maschile è ridotta all’osso se non addirittura scomparsa. Del resto già dal 1999 il Ministero sollevava il problema a seguito dell’indagine sugli “Aspetti della femminilizzazione del sistema scolastico” e la conclusione è stata sorprendente. Una conclusione ripresa successivamente nel 2007 con una seconda indagine Ministeriale “La scuola in cifre” da cui ricavano due dati: docenti sempre più anziani e un ulteriore aumento della presenza femminile nella scuola al punto da portarci in seconda posizione in Europa dopo l’Ungheria. E’ alquanto riduttivo limitarsi a individuare tra le cause dell’allontanamento dei maschi dall’insegnamento «la mancanza di rispetto sociale per la figura degli insegnanti» o i bassi stipendi come ebbe a dire Matteo Renzi quando da premier presentò la sua «Buona Scuola. Se il problema fosse rappresentato da queste due sole variabili allora sarebbe noto il punto da cui partire per invertire la rotta. Purtroppo c’è dell’altro. La questione è complessa più di quanto possa apparire. E’ bene sapere che per vedere un maestro all’opera in una scuola materna bisogna girare per tutta l’Italia e forse si rischia di rimanere delusi perché è come cercare un ago in un pagliaio. Nella materna il maestro è una figura che tutti credono ci sia, ma che in realtà nessuno trova. Un po’ come il mostro di Loch Ness di cui tanto si parla, ma nessuno l’ha mai visto. Nella materna, infatti, il «maestro» non c’è più. La cura dei bambini è totalmente affidata alla figura femminile e forse va bene così dal momento che a quell’età è determinante la presenza materna che si rivela protettiva come opera continuativa dell’ambiente famigliare. La stessa attività d’inserimento, tipica delle scuole materne, ci riporta a un concetto domestico. Di maestri oramai se ne contano sulla punta delle dita anche nelle classi elementari dove l’insegnamento è una professione prevalentemente femminile. Di qualche punto percentuale sale la presenza maschile a partire dalle scuole medie per rafforzarsi negli istituti superiori dove, però, si va registrando man mano che passano gli anni, una maggior crescita della presenza delle donne. Il panorama, dunque, è rosa, mentre sempre meno spazio hanno nelle scuole le quote blu. Un problema che preoccupa non solo sociologi e pedagogisti, ma anche antropologi convinti come sono che proporre ai ragazzi un unico modello educativo e formativo finisce con lo sbilanciare un giusto equilibrio in fatto di presenza di genere all’interno dei consigli di classe, per proporre una cultura di predominio della presenza femminile, impedendo di fatto ai ragazzi di identificarsi con una personalità maschile. Questo, secondo l’antropologa Ida Magli, scomparsa di recente, rischia di «impedire lo sviluppo del tipo di pensiero maschile, molto diverso da quello femminile». Che vuol dire? Vuol dire che sentimenti, sensazioni, idee, emozioni sono diversi a seconda del genere di appartenenza e questo i ragazzi lo percepiscono senza che nessuna tendenza in atto possa portare ad un’alternativa all’attuale situazione. Secondo Mary Curnock Cook, direttrice dell’organismo che si occupa dell’ammissione a college, master e università inglesi, «il dominio delle donne nella forza-lavoro scolastica è probabile che giochi un ruolo nelle scarse performance dei ragazzi rispetto alle ragazze». Ahia! Vuoi vedere che i maschi sono più ciucci delle ragazze perché hanno di fronte solo insegnanti donne? Alla parità di genere all’interno di un consiglio di classe si arriva solo garantendo la parità di presenza tra docenti maschi e femmine; si arriva solo garantendo la presenza di diverse figure di riferimento a cui gli studenti possano appoggiarsi nei momenti di smarrimento o di soddisfazione perché diverse sono le personalità da rispettare. I processi di apprendimento non sono avulsi dalla flessibilità delle proposte degli stili educativi che si rivelano tanto più funzionali all’opera formativa quanto più sono presenti e diversi gli aspetti relazionali all’interno di una classe. Non voglio apparire maschilista, ma questa sorta di monopolio femminile nell’insegnamento, appare in netto contrasto con il cambiamento della scuola in atto. Un cambiamento che allontana sempre più la scuola dalla convinzione di essere essa stessa una scelta che ben concilia il lavoro con l’impegno famigliare. La scuola che cambia potrebbe rimettere in discussione l’equilibrio che storicamente l’ha sempre contraddistinta al momento della scelta di una professione. Tutto questo impone una nuova cultura dell’attenzione verso una professione che se da una parte nella scuola vive una concreta sproporzione di genere a favore di una massiccia presenza femminile, dall’altra richiama ad una profonda innovazione in atto destinata a toccare la professione docente che sarà sempre più complessa fino a determinare le future scelte in ambito formativo. D’altronde oggi più che mai non è possibile immaginare una scuola senza docenti maschi, come allo stesso modo lo fu, visto al contrario, per Pitagora che per primo considerò utile alla cultura del tempo ammettere le donne nella sua scuola e Platone che invitò a considerare le donne alla pari degli uomini. Sia chiaro. Non è questione di chi è più idoneo a svolgere un servizio di docenza a seconda che sia un maschio o una femmina dal momento che non condivido la teoria di Ida Magli portata all’esasperazione, piuttosto sono dell’avviso che ai ragazzi vanno garantiti i diversi modelli educativi rappresentati da uomini e donne senza con questo finire sulla teoria di genere. «Rimango istintivamente convinta - sostiene la Cook - che, come in qualsiasi altro ambito della vita, lo squilibrio di genere procurerà ulteriore squilibrio». Prendiamola così.

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