Le regole, si sa, sono fatte per essere trasgredite. Un assioma che per tanti ragazzi si traduce in una regola ben precisa: non si può dire di aver vissuto se prima non si è provato ciò che è proibito. Sono principi che accompagnano spesso la vita di ragazzi, ma anche il vivere quotidiano di molti adulti. A scuola, ad esempio, i vari regolamenti sono approvati dopo pareri, obiezioni, consigli e correzioni richiesti e ottenuti da studenti, docenti e genitori. Eppure. Non c’è cosa più facile che trasgredire proprio quei regolamenti concordati e messi nero su bianco per sottolinearne i valori e l’efficacia. Questo vale per una qualsiasi comunità. Che si tratti di scuola o di famiglia, non fa differenza. Una scuola senza regolamenti è aperta a rischi enormi, come può esserlo una famiglia che, se privata di un minimo di regole, rischia di crollare come istituto educativo. Il guaio di chi rispetta le regole è pensare che fa più notizia colui che, invece, le trasgredisce. E’ sempre stato così. Tanti discepoli di Pitagora, ad esempio, non hanno fatto notizia più di quanto ne abbia fatta uno solo, tale Ippaso di Metaponto che, in barba ai regolamenti imposti dal maestro nella scuola di Crotone, rivelò al mondo ciò che non doveva divulgare. Peggio di una moderna gola profonda divulgò notizie dettagliate sul numero «indicibile». Un affronto per Pitagora che regolò i conti con l’espulsione dalla scuola. Qualcosa del genere è successo all’Istituto Tecnico «Gino Zappa» di Milano. Qui è un’intera classe ad essere stata sospesa e non per troppa loquacità, ma anzi, per infausta omertà. I fatti risalgono al maggio del 2009, ma solo ora si è arrivati alla conclusione della vicenda. Tutto inizia in una classe prima dove un insegnante è fatto oggetto di continui lanci di pastelli da parte di mani anonime. Impossibile fare lezione, arduo individuare il responsabile. Nessuno vede niente, nessuno sa niente, nessuno collabora, ma quel che è peggio, nessuno parla. Tutti zitti, tutti innocenti, nessun colpevole. Di fronte a un atteggiamento del genere, il consiglio di classe prende una decisione: è la classe, nella sua totalità, che viene ritenuta responsabile, ergo è l’intera classe che viene sospesa per un giorno, per «omertà e correità collettiva». Ma un papà, contrariato dalla delibera dell’organo collegiale, presenta ricorso al TAR. «Nihil sub sole novi» (non c’è niente di nuovo sotto il sole). Un classico nel mondo della scuola. Lo scorso 30 marzo arriva la sentenza. Per i giudici di Milano «la fonte della responsabilità disciplinare è un comportamento individuale omissivo, denotato dalla mancata dissociazione del singolo studente dalla condotta gravissima posta in essere in classe nei confronti di un docente». Che tradotto in linguaggio nazionalpopolare, per i miseri pellegrini come me, vuol dire: se uno paga per le colpe proprie, paga anche per la mancata denuncia per le colpe degli altri. E’ come dire che l’omertà non può e non deve trovare spazio tra i principi educativi, quindi va punita sempre, indipendentemente dalla situazione in cui uno si viene a trovare. Essere testimoni di una violazione e scegliere nel contempo di non parlare, significa schierarsi dalla parte dell’illegalità. Ma cosa ancor più grave è il comportamento del genitore che, dimenticando di essere depositario di precisi principi educativi, si schiera dalla parte di chi sceglie la correità, difendendo di fatto chi non si dissocia dai turbolenti. Purtroppo non siamo nuovi a simili atteggiamenti. Lo scontro tra genitori e scuola si va affermando, nella sua drammaticità, con sempre più assiduità. Il pensiero va ai recenti fatti accaduti al Parini di Milano dove lo scontro si è fatto talmente duro da indurre alcuni docenti a pensare di cambiare aria. Troppe incomprensioni, troppi dissapori, troppi contrasti portano a una caduta di fiducia nell’operato degli insegnanti. Ritengo personalmente discutibile l’iniziativa messa in opera dal genitore dell’istituto «Zappa» di Milano. Sui valori fondamentali educativi che vedono il coinvolgimento di scuola e famiglia, il confronto non può trovare spazio nelle aule dei tribunali. Non esiste una magistratura educativa. Lo scontro, portato all’esasperazione, non aiuta, ma amareggia. Si può condividere o non condividere una decisione presa da un consiglio di classe, ma questo non legittima chi da alleato si trasforma in avversario, scambiando la scuola per un agone dove dare libero sfogo alle varie strategie. Come si fa a difendere il principio dell’omertà messo in pratica da tutta la classe? Come si fa a non rimanere amareggiati quando un insegnante è costretto a districarsi tra le correzioni apportate a un compito e un genitore che corregge le correzioni; tra un rimprovero dato a un alunno e un avvocato che con una lettera rimprovera chi il rimprovero si è permesso di muovere. Perché deve essere un TAR a suggerire di punire l’omertà, se questo rientra tra i compiti educativi affidati agli adulti, agli educatori? Sono domande che mettono in discussione ruoli e funzioni. Lasciare che dei ragazzi si divertano tranquillamente a lanciare gessetti o pastelli contro l’insegnante, non è atteggiamento da comprendere, ma da condannare. Schierarsi con i ragazzi che scelgono l’omertà come valore comportamentale, è un brutto segnale che ci dice quanto lacerato sia il rapporto tra genitori e scuola. Bisogna stare attenti. Oggi i ragazzi rischiano molto in termini educativi, e questo proprio a causa delle forti divergenze che spesso irrompono sulla scena. I valori educativi della scuola spesso non coincidono con quelli propugnati dai mass media; la richiesta di collaborazione presente dietro le strategie educative dei docenti, non sempre coincide con le scelte educative dei genitori. Con sempre più insistenza dobbiamo fare i conti con la confusione che domina lo scenario sociale. Tutto viene messo in discussione. Criteri, metodi e strategie sono diventati terreno di scontro. Sentimenti ammorbiditi, passioni annacquate, equivoci consolidati, congiuntamente a una babele di maestri imperversano nel mondo della scuola. Urge ritrovarsi, per ritrovare valori e principi che caratterizzano l’azione educativa. Facile a dirsi?
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