LODI e SANT’ANGELO Moby Prince, 30 anni di silenzi: «A Livorno per non dimenticare»

«Chi doveva scoprire la verità non lo ha mai fatto, potevano essere salvati»

«Nessuno può restituirci i nostri cari, ma sapere la verità darebbe un po’ di pace». Tra tanta rabbia, sconforto e la consapevolezza che la verità storica, in questi trent’anni, è stata avvolta da una nebbia molto più densa di quella citata per anni a processo, poi esclusa come causa della strage dalla prima commissione d’inchiesta del Senato.

A 30 anni dal disastro Moby Prince - era la notte del 10 aprile 1991 quando nella rada del porto di Livorno il traghetto diretto a Olbia si scontrò con la petroliera Agip Abruzzo -, a parlare sono Carla Arati e Davide Molaro, la moglie e il figlio del santangiolino Gabriele Molaro, in viaggio per lavoro sul traghetto, tra le 140 vittime del disastro ancora senza colpevoli, come gli sposini lodigiani Diego Cesari e Anna Defendenti. Il dolore, 30 anni dopo, è ancora tutto lì, come i punti di domanda. Le indagini non sono finite e il Parlamento varerà una nuova commissione d’inchiesta, la seconda in pochi anni. «Quantomeno si comincia a capire di più di quanto accaduto rispetto a quanto ci è stato raccontato negli anni, ma c’è ancora tanta rabbia e frustrazione - spiega Davide Molaro, che aveva solo 7 anni al momento della tragedia, ma che ha poi sempre seguito la vicenda con la mamma Carla Arati e il fratello Fabio - e lo scorso anno, ma anche quest’anno, si aggiungono i vincoli dettati dalla pandemia, per raggiungere una manifestazione che è memoria e ricordo, oltre che un modo per dare visibilità. C’è ancora tanta rabbia, nei confronti delle istituzioni, di chi doveva indagare e non l’ha fatto, da chi è scappato dalle responsabilità, perché in 140 sono morti senza sapere perchè. Almeno una responsabilizzazione di qualcuno ci dovrà essere, una verità storica che sia in grado di restituire ai defunti e ai familiari un po’ di dignità».

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