Lockdown, confermato lo stop alla caccia

Per i 4 mila pescatori lodigiani invece attività concessa solo nel territorio del proprio comune

Caccia e pesca, mondi paralleli e diversi. Ai 2.100 cacciatori vietato lo sparo in virtù delle misure di contenimento del contagio, ai 4mila pescatori lodigiani concessa la lenza, ma solo all’interno del territorio del proprio comune. Tra gli uni e gli altri cresce un po’ la rabbia e la tensione per una misura che non è ritenuta equa.

Il chiarimento del Ministero dello Sport è arrivato per la pesca. Quella di superficie può essere praticata in forma individuale e all’aperto, fermo restando il rispetto del distanziamento sociale e del divieto di assembramento, sia come attività amatoriale sia come allenamento. Esclusivamente nel proprio comune nelle regioni indicate Zona Rossa come la Lombardia. Sono vietate le gare di pesca sportiva, e sono chiusi i laghetti di pesca, equiparati ai centri sportivi. Insomma, la lenza si può gettare nei corsi d’acqua solo nel territorio del proprio comune. «C’è un certo malcontento e un po’ di tensione, che è mitigata da questa deroga e dal fatto che la stagione per i pescatori si sta concludendo - spiega Giuseppe Davini, ex presidente Fipsas Lodi (oggi accorpata a Milano) -. La possibilità di pescare nell’ambito del proprio comune è un palliativo, molti territori lodigiani di fatto ne sono esclusi. È un peccato perché nella pesca il distanziamento è garantito, dunque non ci sono situazioni di potenziale rischio. Al tempo stesso ci adeguiamo a questo criterio di massima prudenza, e invitiamo tutti i nostri associati a portare pazienza».

Va peggio alla caccia, del tutto vietata. Di fatto i cacciatori possono uscire solo con i cani per una passeggiata, anche in aperta campagna, ma nelle aree di prossimità del loro domicilio. E senza doppietta. «E la rabbia cresce - dice il presidente dell’Ambito Nord Silvio Sacchi -. Vediamo gruppetti di persone passeggiare insieme nelle strade di campagna, mentre nella caccia il rischio assembramento non esiste, eppure siamo bloccati. Non è giusto». Anche perché la stagione è stata fatta partire regolarmente a fine settembre. «E a gennaio è già conclusa. Ogni anno tra tassa statale, iscrizione all’Ambito, tassa regionale e assicurazione ogni cacciatore spende più di 500 euro - continua Sacchi -. Infatti, c’è già chi sta sollevando la questione di una richiesta di rimborso. C’è un problema di equità della misura, c’è un problema economico dei singoli cacciatori e uno più complessivo, dell’intera filiera: ci sono ordini per il rilascio di selvaggina con alcuni allevamenti per decine di migliaia di euro, ordini che ora non siamo certi di confermare visto che ci è vietato cacciare. E c’è il problema del contenimento dei nocivi, che non viene più fatto, con il rischio di danni all’agricoltura e alle persone». Le associazioni della caccia stanno pressando il Ministero per avere delle deroghe, spalleggiate dall’assessore regionale Fabio Rolfi, ma al momento non sembrano esserci grandi possibilità.n

© RIPRODUZIONE RISERVATA