Lo “spettro” del lockdown, il diritto alla salute e gli altri diritti

L’editoriale del direttore del «Cittadino» Lorenzo Rinaldi

Lo scorso 18 ottobre su «Avvenire» il presidente della Commissione istruzione della Camera, Vittoria Casa, ragionando sul ritorno della didattica a distanza ha avvertito che “avrebbe un impatto devastante soprattutto sulle famiglie più povere”. La chiusura di tutte le scuole (per il momento lo stop riguarda solo le superiori, tranne alcune eccezioni regionali) resta una delle ipotesi in campo nel caso in cui si rendesse necessaria una ulteriore stretta: questa prospettiva preoccupa non poco. Secondo Save the children la pandemia ha gettato in povertà assoluta almeno un milione di bambini e ragazzi, che si sono aggiunti ai 2,2 milioni che già si trovavano in povertà relativa e al milione e 200mila in povertà assoluta. “Un’altra sospensione delle attività in presenza - segnalava l’onorevole Casa - sarebbe una vera e propria catastrofe per chi,per esempio, consuma l’unico pasto completo della giornata alla mensa scolastica”.

C’è poi un secondo ordine di problemi, sempre legati alla Didattica a distanza e che in questi giorni stanno già affrontando i ragazzi delle scuole superiori. Secondo l’Istat e Save the children il 12,3 per cento dei ragazzi italiani tra 6 e 17 anni non ha un computer o un tablet a casa (850mila studenti) e tale quota sale quasi al 20 per cento nel Mezzogiorno (470mila studenti); quasi sei famiglie su dieci (57,2 per cento) non hanno una connessione internet casalinga; 1 famiglia su 5 dispone di meno di 30 giga al mese (19,8 per cento); il 30,6 per cento delle famiglie ha dei figli che non riescono a seguire le lezioni a distanza. Un quadro preoccupante.

I dati appena illustrati spingono a ipotizzare una privazione di diritti, o quantomeno una forte limitazione, a discapito delle nuove generazioni. Occorre però anche considerare che l’ordinanza del governatore Fontana e il Dpcm del premier Conte - che hanno introdotto la Didattica a distanza per le superiori - miravano al contenimento dell’espansione del contagio e dunque alla tutela della salute, intesa come diritto. Ci troviamo dinanzi a un dilemma di non facile soluzione, perché la difesa di un diritto ne limita un altro.

E, come ha sostenuto il 28 ottobre sul «Corriere della Sera» il presidente della Corte costituzionale “non esistono diritti tiranni”. Mario Morelli ha fatto riferimento alla delicata sentenza sull’Ilva di Taranto, nella quale la Suprema corte è stata chiamata a trovare un equilibrio tra il diritto alla salute, il diritto al lavoro, il diritto d’impresa: “Non ce n’è uno da tutelare in maniera integrale a discapito di altri, ma, in una situazione di conflitto ciascuno può essere sacrificato, sia pure nella misura minima possibile, per consentire la tutela degli altri. Ciò vale anche nella difficilissima stagione che stiamo vivendo”.

Parole che possono essere applicate anche al contesto economico attuale: pensiamo all’impatto che l’ordinanza Fontana e l’ultimo Dpcm Conte hanno avuto su ristorazione, palestre, piscine, teatri, cinema, sale da concerto e centri commerciali. Le manifestazioni di piazza - al netto delle violenze - stanno facendo emergere la reale preoccupazione di una parte del Paese e questa non può essere affrontata con la mera promessa di un ristoro economico temporaneo.

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