Lo scandalo italiano della burocrazia

C’è stato un tempo in cui questo Paese era (?) burocraticamente complicato. Per entrare in possesso di una certificazione il cittadino doveva compilare un prestampato su cui riportare informazioni dettagliatissime, incluse le abitudini alimentari, le malattie esantematiche, il nome della maestra di asilo e lo sport praticato da giovane, anche se a livello dilettantistico. Il modulo, accuratamente riempito in tutte le sue parti, controfirmato con autentica in calce, accompagnato dal protocollare foglio di carta bollata, dalla cedola in doppia copia attestante l’avvenuto pagamento all’erario e da due marche del Poligrafico, doveva essere presentato a un determinato ufficio, nelle mani di un arcigno impiegato, che ne controllava meticolosamente il contenuto. Non di rado, a seguito di una svista, arrivava, perentoria, la temuta intimazione di modifica per “vizio di forma”. Ciò costringeva il malcapitato all’affannosa ricerca di una penna, di un piano d’appoggio (a volte anche le spalle di un compagno di sventura) e al rifacimento della coda dietro gli altri che gli erano passati avanti con malcelata soddisfazione. Quando finalmente questa fase stressante e sofferta arrivava a conclusione, gli veniva rilasciata la sospirata ricevuta con due timbri, uno rettangolare e l’altro elissoidale, da conservare con cura estrema nel portafoglio, la cui presentazione, una settimana dopo, presso un altro sportello, gli avrebbe consentito, previo pagamento dei diritti di segreteria, il ritiro del sospirato, prezioso documento, tappezzato di altri bolli e bollini di policroma forgia, e arricchito da una scritta manuale fittissima di non facile lettura, dentro il cui testo erano citati commi e articoli estratti da regi decreti.Poi, a fine Novecento, alcuni benemeriti dai nomi impronunciabili, Paul Allen, Bruce Horn, Bill Gates, Steve Jobs, Tim Berners, facendo correre gli elettroni entro microcircuiti, proposero un metodo per affrancare l’umanità dalla iattura cartacea. Entro pochi anni, lo stesso Paese, soffocato dalla burocrazia, venne invaso da milioni di torrette, costellate di fenditure e circondate da grovigli di fili elettrici. Il linguaggio corrente si popolò di neologismi (Internet, Web, Portale, File; Explorer, Window, Browser, etc) e, nei pubblici uffici, le “mezze maniche” furono sostituite da luccicanti rettangoli sui quali, magicamente, si poteva richiamare di tutto: dall’invasione dei Lanzichenecchi, alle origini del gioco del Lotto.I tentativi di “informatizzazione” partirono al galoppo in tutte le direzioni (pietosamente sorvoliamo sugli appalti di fornitura) e, fallimento dietro fallimento (come altrimenti definire le montagne di raccoglitori, ancora oggi affastellate negli archivi dei tribunali ?), approdarono anche all’Inps.E veniamo alla novità del 2013.Come in più sedi esageratamente magnificato, da quest’ anno il Cud, la certificazione per la dichiarazione dei redditi, è disponibile “on line”, anche per i pensionati, che potranno così evitare le lunghe code agli sportelli postali. Se, ovviamente a causa di dichiarata impossibilità, la consegna virtuale non è fattibile, si potrà richiedere all’Ufficio competente il cartaceo, pagando però una somma pari a 3,27 euro.È lo stesso Inps che lo comunica ricordando che la nuova modalità è prevista dall’ ultima legge di stabilità 2013, che ha infatti imposto alle pubbliche amministrazione l’ utilizzo del canale telematico per l’invio di comunicazioni e certificazioni al cittadino allo scopo di abbattere tempi e costi di consegna.Rallegrato e soddisfatto da questa innovativa opzione un ultrasettantenne pensionato, che è riuscito ad impadronirsi, non senza fatica, dell’uso del computer (esponendosi agli sghignazzamenti dei nipoti), si accinge di buon grado a sperimentare l’ abilità caparbiamente acquisita. Deridendo in cuor suo i coetanei del bar, pone il quesito a Google e viene prontamente invitato a collegarsi al sito www.inps.it. Dopo due o tre manovre, una laconica finestrella gli notifica che per accedere ai servizi dell’Istituto è necessario munirsi del Pin. Seraficamente ignorando il tono supponente del giovane rampollo che spiega al nonno di che si tratta, il vegliardo invia una e-mail all’indirizzo suggerito che, stranamente, somiglia al sullodato modulo, poiché dall’insieme dei dati da trasmettere manca solo la taglia delle mutande, chiedendone l’assegnazione. In capo a qualche giorno la replica dell’Ente, anticipa un prossimo contatto telefonico sul cellulare. Dopo ancora ventiquattr’ore; l’anziano, che ha dimenticato il telefonino sul tavolo di casa (è lecito, no?), scopre, al suo rientro, l’avviso di ricezione e richiama il mittente. La voce femminile, affettatamente cortese, chiede conferma dei dati già trasmessi e preannuncia l’imminente ricezione di un Sms. Sul messaggio, pervenuto dopo ancora un altro giorno, sono elencati i primi otto caratteri del codice di accesso, unitamente alla notifica che i rimanenti otto a completamento (per un totale di sedici), saranno recapitati per posta all’indirizzo comunicato. Entro la settimana la missiva fa la sua apparizione, e il solerte longevo, che da settantadue ore sorveglia dal balcone le mosse del postino, ne effettua trionfalmente il recupero.Volando su per le scale con grave rischio per le coronarie, apre febbrilmente la busta e sotto i suoi occhi si materializza la sagoma stampigliata di un tesserino con la scritta Inps (dimensioni locandina murale), con sedici caselle, di cui le ultime otto occupate. La lettera di accompagnamento invita l’utente a completare gli spazi vuoti con l’ottetto già ricevuto e raccomanda (sic) “di ritagliare e conservare la tessera in modo sicuro per non permettere l’accesso ai dati personali da parte di persone non autorizzate”.Pochi secondi dopo il ferrigno attempato si infila, tramite il proprio PC, nel sito dei “servizi on line per il cittadino”, digita il lungo miscuglio di numeri, consonanti e vocali, e schiaccia, forse con eccessiva sicumera, l”enter”. Ed ecco l’incredibile sorpresa: una nuova finestra interlocutoria comunica che il Pin appena digitato è scaduto e che bisogna cambiarlo.Parte a quel punto una fantasmagorica kermesse tra vecchio e nuovo Pin, misteriosamente ridotto alla metà dei caratteri inizialmente previsti, con avvisi reiterati di oscuri errori e con la categorica affermazione che una volta accettato il nuovo, quello vecchio, frutto di manipolazione elettronica, messaggi, conversazioni telefoniche, appostamenti e agguati al latore del plico postale, non sarebbe stato più valido.Per non farla troppo lunga ci è gradito informare il lettore che il tenace “polidecade”, dopo essersi visto riassegnare in più riprese una sequenza, ogni volta diversa, è riuscito, finalmente ad ora antelucana, a stampare il suo Cud, ma che, dopo una settimana ha ricevuto per lettera, il duplicato, poiché, preso dallo sconforto, aveva nottetempo attivato il percorso parallelo!Lo confessiamo: era nostra intenzione comunicare l’evento realmente accaduto al Ministro per le Complicazioni ( o era, forse, per le Semplificazioni?), ma anche accendere un sorriso sui volti preoccupati della gente…

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