L’Italia non fa figli? Investire per invertire la rotta

di Serena Spinazzi Lucchesi

Centomila neonati in meno in otto anni. Basta questo dato per comprendere che il tema della denatalità in Italia è una vera e propria emergenza. Lo ha appena rilevato l’Istat: nel 2016 sono stati iscritti all’anagrafe 473.438 bambini, oltre 12 mila in meno rispetto al 2015, ma ben 100mila in meno rispetto al 2008. La crisi economica ha sicuramente lasciato il segno sulla propensione delle coppie italiane a sposarsi e mettere su famiglia: il lavoro che non c’è, o che è precario, è il primo ostacolo perché genera incertezza, impedisce di progettare a lungo termine. E un figlio è proprio un “progetto” a lungo termine…

Ma non c’è solo questo. È tutto il sistema di supporto alle famiglie a risultare ben poco incoraggiante. Con il mondo del lavoro, quando il lavoro c’è ed è garantito, che non aiuta. Anzi.

Intanto il periodo di congedo obbligatorio è breve, mentre il periodo successivo prevede un drastico taglio dello stipendio che rischia di gravare pesantemente sul bilancio famigliare. E poi riguarda solo le donne, mentre gli uomini restano a guardare: quanti neo padri vorrebbero invece rimanere a casa ad accudire il nuovo arrivato? La legge prevede il congedo solo per uno dei due genitori. Invece, se prevedesse un periodo obbligatorio anche per i padri, se ne gioverebbero tutti: la famiglia appena formatasi e anche le donne lavoratrici. Infatti, se anche per gli uomini fossero previsti un paio di mesi obbligatori di congedo, forse il mondo del lavoro inizierebbe a discriminare meno le donne, nel momento dell’assunzione e anche in seguito. Perché il rischio di “perdere” per un periodo la propria forza lavoro riguarderebbe non più solo le donne, ma anche gli uomini, pur in misura inferiore.

E per chi volesse rimanere a casa più a lungo ad accudire i figli – per scelta o per necessità – il welfare dovrebbe garantire un sostegno economico ben più cospicuo di quello attuale. Lasciando così alle mamme la libertà di decidere quando ritornare al lavoro. Con la certezza di ritrovare quel posto. Certezza che oggi non c’è: nonostante leggi e tutele, almeno sulla carta, i casi di dimissioni forzate o di trasferimenti mirati sono all’ordine del giorno. E mancano del tutto dei percorsi di accompagnamento e di reinserimento per chi rimane forzatamente a casa.

Infine le strutture di appoggio. Ancora oggi gli asili nido sono insufficienti e costosi. Anche qui andrebbe fatto un serio investimento per garantire il giusto supporto alle famiglie. In Francia, ad esempio, sono previsti sgravi fiscali e contributi certi (non una tantum) per ogni nuovo nato, con sostegni economici per chi non trova posto al nido e deve affidarsi a una baby sitter. Sarà un caso, ma la Francia ha un tasso di natalità ben superiore a quello italiano: 2,1 figli per donna contro l,37 (dati 2015).

Tutte queste misure costano, è evidente. Ma se c’è un settore dove l’Italia dovrebbe davvero investire è proprio questo. Ne va del nostro futuro, come sottolinea anche Papa Francesco. Dunque investire tanto. E in fretta.

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