L’INTERVISTA Galli: «Serve il test sugli anticorpi prima di farsi vaccinare»

Parla il virologo dell’ospedale Sacco: «Io lo sostengo da una vita ma mi rendo conto che è gravoso»

Anche dal secondo screening svolto un mese fa a Castiglione d’Adda, comune colpito tra i primi in ordine di tempo dall’arrivo del nuovo coronavirus in Italia nel febbraio dello scorso anno, si attendono risposte sulla durata dell’immunità indotta dal virus piuttosto che dalle vaccinazioni contro di esso.

Il professor Massimo Galli, noto virologo dell’Ospedale Sacco di Milano e direttore degli screening di Castiglione (oltre che di Carpiano e di Sordio), rivela che purtroppo di certezze al riguardo la Scienza ne ha ancora poche e personalmente invita a il mondo scientifico e le autorità a prestare più attenzione alle possibili sovrapposizioni tra un’immunità eventualmente già presente e la produzione di ulteriori anticorpi con le vaccinazioni. Anche riguardo alle imminenti decisioni sulla “terza dose”.

Professor Galli, qual è la differenza tra l’immunità da vaccini e l’immunità data dalla malattia del Covid-19?

«Non lo sa nessuno quale sia la differenza reale. La differenza certa è che con il vaccino eccitiamo solo degli anticorpi specifici, molto specifici, che sono gli anticorpi neutralizzanti, ovviamente neutralizzanti il virus che circolava un anno fa, anzi più di un anno fa, a Wuhan nel marzo del 2020 e quindi non completamente efficaci nella neutralizzazione delle varianti ultime circolanti. L’immunità naturale data dall’infezione naturale, chiaramente genera uno spettro più complesso di anticorpi che vengono prodotti ma in maniera molto variegata da individuo a individuo. E anche qui la limitazione possibile è che chi si è fatto l’infezione un anno fa ha anticorpi, anche dal punto di vista qualitativo, diversi rispetto a chi se l’è fatta tre mesi fa o un mese fa».

Quindi potenzialmente meno efficaci?

«Al riguardo stavo proprio facendo una discussione con alcuni miei collaboratori, persino tra di noi abbiamo punti di vista differenti, anche la letteratura e i dati sono piuttosto confusi, proprio in merito a questo. La mia domanda è “quanto il fatto di essere guariti e avere ancora anticorpi sia sufficiente per non infettarsi in modo significativo” e “quanto il fare una dose di vaccino se hai già anticorpi già presenti aggiunga qualcosa in termini di protezione”».

Ma la risposta non c’è?

«La risposta mi piacerebbe averla, quello che io vorrei riuscire a ottenere è che perlomeno si consenta un margine di gestibilità nei positivi per gli anticorpi, chi ancora è positivo possa avere al limite delle dilazioni, in determinate circostanze e situazioni, per la vaccinazione, e soprattutto non si continui a parlare di una rivaccinazione completa con due dosi perché quella credo che non sarebbe opportuna».

Ma perché, è pericoloso avere troppi anticorpi?

«No, perché comunque un atto deve essere un atto utile e non un atto futile. Oltretutto una reiterata stimolazione immunitaria può non essere particolarmente favorevole. Prima di fare una cosa, forse dovremmo avere qualche elemento in più».

Sarebbe quindi corretto adottare un protocollo che prevede un test anticorpale sulle persone prima di vaccinarle?

«Io lo sostengo da una vita, ovviamente non è facile applicarlo in tutte le condizioni e generalizzarlo, è abbastanza gravoso, però perlomeno dovrebbe essere considerato in alcune categorie di popolazione. Ad esempio si porrà presto il problema di decidere cosa fare con i sanitari: è stata fatta un’uscita non brillante dicendo che a nove mesi bisogna pensare anche di rivaccinare, a nove mesi scade il green pass di chiunque, dopo la seconda dose di vaccino, e noi tutti sanitari stiamo scadendo nel giro di un mese e mezzo, come fossimo yogurth. Allora, visto che non c’è affatto chiarezza sulla terza dose e sull’utilità, dovremmo ancora cercare il modo di capire come ci si dovrebbe muovere in proposito».

E questo è uno dei motivi per cui avete fatto il nuovo screening a Castiglione d’Adda….

«Sì, non ho ancora i dati, ma spero che arrivino presto o prestissimo».

E questi test anticorpali, come funzionano?

«Bisogna dire che ce n’è più di uno. Ci sono i test anticorpali rivolti alla misurazione degli anticorpi contro il receptor binding domain, RBD, dello spike, e sono quelli di maggiore indicatività riguardo alla presenza di anticorpi neutralizzanti, o i test più genericamente rivolti allo spike di altra manifattura e con altre caratteristiche. Tenendo presente che invece i test che misurano gli anticorpi contro il nucleocapside, rilevano anticorpi che possono essere presenti solamente nelle persone che hanno fatto l’infezione naturale perché non vengono generati invece come prodotto della vaccinazione. Si chiamano test Anti-N, cioè anti nucleo capside».

Ma sono test disponibili per la popolazione?

«Certo, ci sono, si fanno a richiesta ovviamente. Se uno vuole sapere se ha fatto l’infezione naturale, comunque, anche se avesse fatto il vaccino, se va a fare il test anti N lo vede e può farlo anche in questo momento perché dà un’indicazione. Questo test potrebbe anche dire se una persona ha fatto il Covid-19 un anno e mezzo fa, sempre che l’individuo abbia conservato gli anticorpi. Sono ambiti in cui le certezze purtroppo si misurano ancora in percentuali bassissime e sono tanti gli ambiti dibattuti».

È quindi corretto che chi si era ammalato faccia comunque una dose di vaccino?

«In realtà è proprio la cosa di cui io discuto, perché non penso che sia sempre corretto questo assunto».

Quindi bisognerebbe sempre ragionare le vaccinazioni alla luce della presenza e della qualità di anticorpi?

«Questo è il discorso che io mi sento di fare».

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