L’instabilità, il Pil, i numeri e le parole

Esiste un confine tra l’informazione e la sparata quotidiana? Già prima che l’Istat si pronunciasse sul Pil, quotidiani bene informati avevano iniziato a far danzare previsioni sul segno meno e pre-annunciato “sorprese negative”: la ripresa non c’è, l’Italia arretra, la legge di stabilità andrà ritoccata. Visto ? Le 80 euro nelle buste dei redditi bassi non sono servite... Ergo: Renzi hai fallito! A inesperti come noi è sembrato che l’interesse della comunicazione politica ed economica non fosse tanto (o solo) il balletto del Pil, ma le scelte dell’esecutivo che ne sarebbero conseguite. Tutti a chiedere, per il ritorno dalle vacanze, “segnali forti”. Segnali sì. Ma quali? Con quali soldi? A leggete i giornali di questi giorni ci si accorge che anziché indagare sui fenomeni che hanno procurato la delusione, l’informazione ha preferito abbandonarsi ai suggerimenti, in particolare uno: il governo molli le riforme in discussione e decida. Decidere cosa? Che diammine, le riforme. E giù la raffica: i tagli al bilancio, la riduzione delle tasse, il fisco leggero, il piano industriale, gli aiuti all’export, la guerra ai privilegi, le dismissioni dei beni, il mercato del lavoro, dei prodotti, la lotta alla burocrazia, l’uscita dalle compartecipate, la riorganizzazione della P.A., i tagli alla sanità, gli arretrati alle imprese, l’alleggerimento sociale (leggi pensioni), l’inquinamento, la criminalità, la scuola... Niente di impossibile! Solo a una condizione: “la più importante: il gradimento dei mercati” (M. Sensini, Corriere della sera, 7 agosto) Sia chiaro; non stiamo tentando di minimizzare il dato Istat sul Pil trimestrale, di far dimenticare i segnali che esso manda. E’ stata una brutta botta, punto e basta. Una botta che era però nelle previsioni. Se non del governo del Fondo monetario internazionale, dell’Ocse, della Banca d’Italia, della Commissione europea... Il fatto è che ogni giorno siamo bombardati da informazioni economiche. Sovrabbondanti e per questo spesso fuorvianti. Politici, analisti, media le utilizzano in modo corretto le statistiche?“In modo corretto” significa in primo luogo aver capito quello che ogni misura statistica descrive: e cioè quale fenomeno vuole narrare, quale la base concettuale della misurazione, quale modello interpretativo. Non vogliamo dire che chi commenta sia un non esperto o un ignorante, ma che si dovrebbe comunicare meglio.“Tecnico” o meno (gli esperti parlano di recessione tecnica), va da sé che del dato brutto del Pil ne avremmo fatto volentieri a meno, anche se, “di Prodotto interno lordo non si vive”. Parola non di Renzi ma del Nobel J. Stiglitz. Piuttosto non ha qualche altra spiegazione (teorica) il dato Pil rilevato oltre a quella fornita dall’industria che non tira, dal turismo che non tira, e al fatto che non tirano il commercio, l’edilizia, i lavori pubblici, i servizi, i consumi e tira – eccome tira - il sottobosco: l’evasione, la corruzione, la criminalità economica, il magna magna? Viene spontaneo allora chiedersi quel che si chiedevano fino a ieri l’altro i critici del Pil: l’indicatore è affidabile ? Cinque anni fa l’allora presidente francese nominò una commissione ad hoc, presieduta da Stiglitz, alla quale parteciparono Amartya Sen, Jean Paul Fitoussi e per l’ Italia l’ex ministro del Lavoro e ex presidente dell’Istat Enrico Giovannini. Scoperto quel che si sapeva già e cioè che lo sviluppo non può essere solo “accumulazione quantitativa”, la crociata contro la dittatura del Pil ha rotto le file. Lavoro sprecato? Forse no, ma il Pil è rimasto in circolo, con i limiti che tutti gli riconoscono. Al di là dell’Oceano contribuisce alla sua formazione anche la droga, da noi, in Europa non fanno parte né la produzione né i consumi dei beni intermedi (l’Italia ha scarse materie prime, ma è all’avanguardia per i semilavorati), è neppure il capitale umano. I due decimali di Pil trimestrale persi dall’Italia sono il risultato di un calo dell’export e della domanda interna (consumi). Il comunicato Istat è lapidario: “Il recupero della crescita economica si annuncia più difficile di quanto prospettato. I segnali provenienti dalle famiglie e dalle imprese sembrano delineare una fase di sostanziale stagnazione dell’attività economica anche se emergono alcuni segnali positivi sull’occupazione. Tra le imprese, a luglio è aumentata la fiducia nelle ostruzioni e nei servizi mentre si è mantenuta stabile nella manifattura. La minor vivacità della domanda estera potrebbe costituire un ulteriore elemento di freno per la ripresa”. Di fronte alla ri-lettura fornita dai nostri media, esperti internazionali ci hanno riso dietro: “Invece di combattere il traffico nelle grandi città, con quattro o cinque ingorghi come si deve il Pil avrebbe migliorato”. “Perché chiedete di combattere i comportamenti sociali?. Con un pizzico di violenza e di furti in più avreste maggiori spese pubbliche e private per la sicurezza e quindi prodotto nuove entrate“. Canzonature. Che hanno un significato: i problemi non sono solo nel sistema statistico ma spesso nell’uso sbagliato che se ne fa. Chissà se andrà meglio quando Eurostat si deciderà una buona volta a inserire nel computo dei Pil nazionali europei anche una parte delle attività illegali. Con 160 miliardi di evasione fiscale c’è di che sperare. Sarà interessante anche vedere con quali “narrazioni” i nostri analisti ci invieranno “avvertimenti” avvelenati dalla instabilità e dall’incertezza dei mercati.

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