L’indifferenza che uccide la Memoria

“Dopo l’ultimo testimone: oltre l’indifferenza che uccide la Memoria”: caro direttore, scrivo questa lettera utilizzando il medesimo titolo di un libretto scritto da Dadid Bidussa. Per me, questa è la prima giornata della memoria senza “l’ultimo testimone” ma non è sicuramente ’ultima giornata della memoria, anzi per me diventa l’occasione buona per immettermi nel fiume carsico della Memoria e della Storia.Recentemente ho partecipato ad un convegno, promosso dall’ A.N.E.D. (Associazione Nazionale ex deportati) rivolto proprio ai familiari dei deportati sulla necessità di continuare nella trasmissione della memoria di ciò che è accaduto e che nuovamente può accadere; e la dimostrazione che ancora nella nostra democrazia sono presenti derive razziste, nella nostra Europa stanno risorgendo nazionalismi (come attualmente in Ungheria) grazie sempre al “grande peccato di omissione” di tutti coloro che rimangono “sempre prudentemente” guardare.Il fatto di essere figlio di un deportato a Flossenburg e di avere studiato teologia (dove il “fare memoria” assume un significato denso e profondo che supera la realtà del rito) mi ha spesso dato l’occasione di intrecciare questi due cammini che portano a riflettere sul male assoluto dell’umanità, sulla forza della memoria e sulla profonda domanda dell’assenza/presenza di Dio nel male assoluto e mi ha sempre lasciato un profondo interrogativo dentro: “Cosa posso fare io, oggi ?”.Confesso,in occasione della celebrazione di questo giorno, di provare un duplice disagio.Da un lato la sovraesposizione mediatica prodotta in questa giornata e la conseguente mancanza di una seria riflessione sui metodi e modi per tramandare la memoria; “un’oretta e mezzo di genocidi, guerra, scheletri, morti ammazzati, follia omicida e se non c’è traffico alle undici saremo a Firenze (scrive Andrea Bajani in Domani niente scuola).Dall’altro la limitazione del giorno della Memoria al solo ricordo dello sterminio del popolo ebraico dimenticando che nei milioni di vittime di furono deportati politici, zingari, testimoni di Geova, religiosi cattolici e protestanti, e comunque un universo più ampio.“La Repubblica italiana riconosce il giorno 27 gennaio, data dell’abbattimento dei cancelli di Auschwitz, «Giorno della Memoria», al fine di ricordare la Shoah (sterminio del popolo ebraico), le leggi razziali, la persecuzione italiana dei cittadini ebrei, gli italiani che hanno subìto la deportazione, la prigionia, la morte, nonché coloro che, anche in campi e schieramenti diversi, si sono opposti al progetto di sterminio, ed a rischio della propria vita hanno salvato altre vite e protetto i perseguitati” – così recita il decreto istituivo della giornata della Memoria.Scrisse Ferruccio De Bortoli sul Corriere della Sera di domenica 23 gennaio 2011: “Avverto un pericoloso scivolamento nella retorica o nella ritualità dei ricordi. Anna Foà giustamente ci metteva in guardia dall’ipertrofia della memoria, che rischia di far perdere l’indispensabile nesso fra funzione conoscitiva (sapere perché non accada più) e funzione etica (cittadini consapevoli dei valori universali e, dunque, migliori). Non mancano, e sono numerose, le eccezioni positive, soprattutto nel mondo della scuola, ma ciò non è sufficiente a dissipare la sensazione di un progressivo distacco dagli avvenimenti, la cui comprensione profonda è indispensabile alla nostra formazione culturale e civile. (…) Ma dobbiamo temere anche gli indifferenti, e non sono pochi, davanti ai quali le testimonianze dell’esistenza di un male assoluto scorrono come le immagini di una qualsiasi fiction: sembrano non penetrare le coscienze e non muovere alcuna forma di commozione. Svaniscono in un attimo dopo essere state viste, nel trionfo di una memoria digitale tanto abbondante quanto fredda”.Penso che oggi più che mai sia necessario fare breccia tra gli indifferenti e riflettere sull’impostazione da dare a questa giornata, quali nuovi cammini intraprendere dopo “l’ultimo testimone”, quali metodi adottare per trasformare il rito della memoria in “forma della giustizia e dell’etica civile.”Scrive Bidussa nel piccolo e bellissimo libro l’Ultimo testimone: “La memoria non è un accadimento, è un atto che si compie tra vivi ed è volto a legare tra loro individui al fine di costruire una coscienza pubblica. La memoria ha un valore pragmatico, serve per fare, dice oggi che del passato si è trattenuto qualcosa, e che quel qualcosa ha arricchito la nostra capacità di agire proprio perché in quel contesto si sono date molte possibilità e tanti hanno fatto parte di una macchina distruttiva, anche nella sfera delle vittime. Ma se da una parte questo non significa che si possano confondere e assimilare i ruoli, dall’altra ci obbliga a riflettere su ciò che tratteniamo di quell’esperienza. Nel giorno della Memoria non ci interroghiamo dunque sui sopravvissuti o sui testimoni diretti, ma su noi stessi, venuti dopo, e che da quell’evento siamo segnati, qualunque sia il nostro rapporto individuale e familiare con esso. Sia che siamo figli delle vittime, dei carnefici o di quella ampia fascia di zona grigia, di mondo degli spettatori, che si trova in mezzo”.Questo giorno non appartiene al passato, appartiene all’oggi; appartiene a noi che ci troviamo “nel mezzo”, che veniamo dopo l’ultimo testimone, a noi che possiamo solo ascoltare le parole dei salvati ed udire le urla dei sommersi, a noi che continuamente dobbiamo vegliare affinché nulla vada disperso. Ma allo stesso tempo dobbiamo prestare molta attenzione ad evitare la pericolosa trappola dell’emotività della memoria.In un recente libro,relativo alla celeberrima fotografia del “bambino di Varsavia” l’autore scrive: “Se la fotografia del bambino di Varsavia ha effettivamente contribuito a spezzare il monopolio della Resistenza e se ha contribuito alla riacquisizione delle vittime della Shoah nella coscienza occidentale, ha anche partecipato, in una certa misura, alla cancellazione dello spirito di resistenza nelle memorie. Ormai il cuore è il solo ad essere toccato. Alcuni usi ed abusi dell’immagine che abbiamo visto forse devono metterci in guardia. (…) L’avvenimento – una delle più grandi tragedie del nostro tempo – è stato completamente inghiottito dalla carica emotiva della fotografia. “Distruggere e moltiplicare sono i due modi di rendere un’immagine invisibile: con il niente e con il troppo” osserva il teorico dell’immagine Georges Didi-Huberman”.Penso che oggi più che mai sia necessario aprire una profonda riflessione tra storia e memoria, che ci aiuti da un lato ad uscire dall’emotività e al tempo stesso ci aiuti ad entrare nella dimensione della responsabilità, per noi e per coloro che verranno.Abbiamo, oggi più che mai, la necessità di rivedere il nostro rapporto con la storia, la necessità di uscire dai condizionamenti in cui siamo stati relegati per molti anni da mezzi di comunicazione che non ci hanno più abituato a pensare, da politiche ed istituzioni che spesso hanno perso di vista che il loro vero obiettivo è la dignità dell’uomo e ritrovare la vera radice dell’umano sentire.Scrive Pierre Nora sul rapporto tra storia e memoria: “Memoria e storia: lungi dall’essere sinonimi noi ci rendiamo conto che tutto le oppone. La memoria è la vita sempre prodotta da gruppi umani e perciò costantemente in evoluzione, aperta alla dialettica del ricorso e dell’amnesia, inconsapevole delle sue deformazioni successive , soggetta a tutte le utilizzazioni e manipolazioni, suscettibile di lunghe latenze e improvvisi risvegli”.La storia è la ricostruzione, sempre problematica e incompleta, di ciò che non c’è più. La memoria è un fenomeno sempre attuale, un legame vissuto nell’eterno presente; la storia una rappresentazione del passato. In quanto carica di sentimenti e di magia, la memoria si concilia con dettagli che la confortano; essa si nutre di ricordi sfumati, specifici o simbolici, sensibile a tutte le trasformazioni, filtri, censure o proiezioni. La storia in quanto operazione intellettuale e laicizzante, richiede analisi e discorso critico. La memoria colloca il ricordo nell’ambito del sacro, la storia lo stana e lo rende prosaico. La memoria fuoriesce da un gruppo che essa unifica, ciò che equivale a dire che ci sono tante memorie quanti gruppi; che essa è, per sua stessa natura, molteplice e riduttiva , collettiva, plurale e individualizzata. La storia, al contrario appartiene a tutti e a ciascuno, aspetto che le conferisce una vocazione all’universale. La memoria si radica nel concreto, nello spazio, nel gesto, nell’immagine, in un oggetto. La storia si installa nelle continuità temporali, nelle evoluzioni e nei rapporti tra le cose. La memoria è un assoluto, mentre la storia non conosce che il relativo”.“Chi parla di soccombere eroicamente di fronte ad un’inevitabile sconfitta, fa in realtà un discorso molto poco eroico, perché non osa levare lo sguardo al futuro. Per chi è responsabile, la domanda ultima non è: come me la cavo eroicamente in quest’affare, ma quale potrà essere la vita della generazione che viene? Solo da questa domanda storicamente responsabile possono nascere soluzioni feconde.” (Dietrich Bonhoeffer).Sta a noi la responsabilità della giusta misura.

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