L’Europa saprà decidere?

Gli accenti sono sensibilmente cambiati, il “clima” un po’ meno, ma la sostanza non muta. Il summit dei 28 capi di Stato e di governo Ue, convocato tra Ypres e Bruxelles il 26 e 27 giugno, vorrebbe segnare l’“ora della crescita”, ma permangono le insistenze sul “rigore” nei conti pubblici: solo con bilanci a posto - è sempre stata la tesi della Germania e dei Paesi del nord - si possono liberare energie e fondi per gli investimenti e per realizzare le riforme indispensabili per portare l’economia fuori dal guado. Il Consiglio europeo estivo arriva in una fase di passaggio: lo spettro della crisi - o almeno della sua fase peggiore - sembra alle spalle; le statistiche “macro” segnalano una lenta ripresa (salvo per il mercato del lavoro; se ne riparlerà nel 2015); la fiducia cresce e con essa si muovono, circospetti, gli investimenti produttivi.I deficit statali tendono a rientrare, anche se non mancano Paesi che si collocano ben al di là dei limiti fissati a Maastricht (la Francia, per fare un esempio, ne sa qualcosa…). C’è poi il problema dei debiti pubblici, con troppi Paesi incapaci di riportarli entro termini accettabili (l’Italia impensierisce più di tutti). La lunga recessione ha peraltro costretto l’Europa degli Stati e delle istituzioni comuni a creare delle contromisure che, piano piano, si stanno rivelando efficaci: il “semestre europeo”, il rafforzamento della governance economica, l’Unione bancaria, i nuovi poteri di intervento della Bce, il “fondo salva Stati”, persino i tanto vituperati “fiscal compact” e “troika”: sono tutti strumenti predisposti in sede Ue che stanno consentendo di ridare ordine alle finanze, preparando la strada alla possibile ripresa. Restano sul campo pesantissime ricadute sul piano sociale e occupazionale (i greci, gli irlandesi, gli spagnoli, i romeni, gli slovacchi, ma non solo, lo testimoniano): ferite che si rimargineranno solo con gli anni e che hanno alimentato, sul versante politico, le diverse forme di euroscetticismo che hanno fatto risuonare la loro voce alle elezioni per l’Europarlamento del 22-25 maggio. Dunque, se è vero che la ripresa si intravvede appena, è giunta l’ora - come conferma in queste ore la stessa cancelliera tedesca Angela Merkel - di aprire i rubinetti e di trovare degli escamotage politico-finanziari nel segno della “flessibilità” delle regole di Maastricht per accelerare una nuova fase di espansione. Il rigore rimarrà sullo sfondo, ma occorrono fondi per far ripartire tutti i settori produttivi, gli scambi commerciali, il credito alle imprese e alle famiglie, i consumi. L’attesa “spirale virtuosa” di un’economia che cresce generando benessere può essere il grande obiettivo dei governi e dell’Ue per i prossimi anni, a patto che (è sempre la Merkel a ribadirlo) i conti statali rimangano sotto controllo. Non a caso il Consiglio europeo, dovendo indicare un nome per la presidenza della Commissione da sottoporre al voto dell’Europarlamento, scommetterà su Jean-Claude Juncker. Politico di lungo corso, della famiglia democristiana, già alla testa della Banca mondiale, premier del Lussemburgo per 18 anni, nonché presidente dell’Eurogruppo, Juncker, candidato dal Ppe alla presidenza della Commissione, ha ribadito per tutta la campagna elettorale che “senza il rigore non si possono creare le premesse per la crescita”. Dunque la nave europea vuole salpare verso orizzonti di ripresa senza buttare a mare gli sforzi compiuti per il risanamento. Il ritrovato clima d’intesa che, fra innumerevoli ritrosìe e difficoltà, si sta imbastendo a Bruxelles potrebbe trovare proprio in Juncker un alfiere credibile, purché il navigato esponente lussemburghese sappia liberarsi dallo stretto abbraccio della Merkel e persino del premier italiano Matteo Renzi, dal 1° luglio presidente di turno dell’Unione. Perché il presidente della Commissione, per svolgere al meglio il suo ruolo così come è definito dai Trattati, deve rappresentare e perseguire l’interesse comune dell’Unione, e non assumere le parti di un qualunque Paese o di un qualche “asse preferenziale” che si volesse incaricare di guidare l’Ue28. Infine un particolare da non trascurare. Il Consiglio europeo è stato convocato per una prima tappa a Ypres, nel Belgio fiammingo, per commemorare i cento anni della prima guerra mondiale, che da queste parti fu combattuta con particolare violenza, lasciando sul campo centinaia di migliaia di morti. Il messaggio che si vuol lanciare è chiaro: l’Europa comunitaria è la risposta pacifica e democratica agli egoismi nazionali, alle divisioni, alla volontà di prevalere gli uni sugli altri; l’Ue rappresenta il percorso di solidarietà, di “unità nella diversità” che, fedele al progetto originario, risuona come un “mai più la guerra”. Da Ypres i 28 intendono ribadire su quali valori si fonda il processo di integrazione: il quale può essere rivisto, aggiornato, rilanciato, persino “aggiustato” o “dimagrito” (come chiede il premier britannico David Cameron), ma appare ancora oggi, e nonostante tutto, una risposta in chiave preventiva ai possibili conflitti e un baluardo per la democrazia, i diritti, lo sviluppo. Ypres - come Sarajevo e persino Kiev - lo ricorda ogni giorno.

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