L’Europa dopo il passo falso

Nonostante i molteplici interrogativi sui futuri conti comunitari, prodotti dal fallimento del Consiglio europeo del 22-23 novembre, emergono alcuni punti fermi ereditati dal summit. La prima certezza è che il vertice non è riuscito a produrre un accordo politico e contabile attorno al Quadro finanziario pluriennale 2014-2020. La seconda riguarda il fatto che i 27 dovranno ritrovarsi al più presto per assumere una posizione condivisa, visto che il Qfp è necessario per orientare, già a metà del prossimo anno, i negoziati per il bilancio 2014, che va disegnato a partire dai massimali di spesa inseriti nello stesso budget settennale. Il terzo elemento evidente è di carattere politico: la riunione dello scorso fine settimana ha posto in luce una volta di più le divisioni che esistono tra gli Stati aderenti all’Unione; divisioni sempre esistite su scala comunitaria ma accentuatesi in ragione della crisi economica che travaglia il vecchio continente.

“Il Consiglio europeo conferisce al suo presidente e al presidente della Commissione il mandato di proseguire le consultazioni nelle settimane a venire per trovare un consenso fra i 27 sul Quadro finanziario pluriennale per il periodo 2014-2020”. La dichiarazione finale concordata dai capi di Stato e di governo prima di lasciare Bruxelles appare quanto meno laconica, se non evasiva. Vi si legge: “I colloqui bilaterali e le discussioni costruttive in sede di Consiglio europeo mostrano un grado sufficiente di convergenza potenziale per rendere possibile un accordo all’inizio del prossimo anno”. E infine: “Dovremmo essere in grado di superare le divergenze di opinioni esistenti”, anche perché “un bilancio europeo è importante per la coesione dell’Unione e per l’occupazione e la crescita in tutti i nostri Paesi”. In filigrana il testo afferma: si è tentato un dialogo, le posizioni restano lontane, dunque ci si affida a esperti mediatori per inventare una soluzione laddove non ci sono riusciti i leader nazionali per via di prevalenti interessi di parte.

In realtà il summit non è riuscito - nonostante quasi 20 ore di incontri bilaterali, due discussioni plenarie, tre bozze di Qfp e tanta diplomazia - a mettere d’accordo sulle cifre i “Paesi del rigore”, quelli più votati a una mediazione, e quelli della “coesione”. Il Regno Unito guidava la posizione più oltranzista: “A casa propria ognuno sta facendo i conti con l’austerità, quindi è necessario che anche il bilancio Ue sia ridotto”, ha affermato il premier David Cameron, spalleggiato da Paesi Bassi, Finlandia, Svezia, Danimarca. Su una bozza iniziale di Qfp di circa mille miliardi, presentata dalla Commissione, Cameron pretende una riduzione di 200 miliardi. Più possibilista è apparsa la cancelliera tedesca Angela Merkel, la quale indica in 100 miliardi i tagli da apportare alla proposta originaria: “Bisogna trovare un punto di incontro – ha spiegato -, ma il budget va ridimensionato”. Francia e Italia hanno svolto un ruolo da mediatori, pur mostrandosi ferme nella richiesta di mantenere fondi adeguati per agricoltura (cui sono interessate sia Parigi che Roma) e coesione territoriale. Infine il premier polacco Donald Tusk si è posto alla guida dei Paesi “beneficiari netti”, ossia Europa dell’est, Spagna, Grecia, Portogallo e Croazia, che sarà nella “casa comune” a metà 2013. “Il bilancio Ue è necessario per rilanciare crescita e occupazione”, ha ripetuto Tusk, “e non può essere ridimensionato senza tener conto degli innumerevoli programmi che l’Ue deve realizzare”.

“Il rinvio delle decisioni non costituisce un dramma. Abbiamo un mandato per proseguire i negoziati nelle prossime settimane con la prospettiva di giungere a un punto di incontro”, probabilmente a inizio 2013, ha affermato il presidente del Consiglio europeo, Herman Van Rompuy, una volta compreso che il summit era avviato su un binario morto. “Sussistono divergenze fra gli Stati, ma riscontriamo anche un grado sufficiente di convergenza” che preluderebbe a un prossimo accordo. Van Rompuy, pur mostrandosi fiducioso, ha ricordato che a ogni modo il prossimo “sarà un bilancio pluriennale all’insegna della moderazione”. Dal canto suo José Manuel Barroso, presidente della Commissione, ha avvertito: “Per la prima volta nella storia dell’Ue sono sul tavolo tagli reali al bilancio comunitario. E questo nel quadro di una Unione più ampia e con maggiori competenze rispetto al passato”. Le trattative riprenderanno a breve. Per il 27 novembre era già stato fissato un incontro tra Van Rompuy e l’Europarlamento (l’altra istituzione Ue competente sul bilancio) per fare il punto della situazione. Incontri bilaterali e trattative diplomatiche saranno calendarizzate nei prossimi giorni. Il rischio reale riguarda però il fatto che il buco nell’acqua del Consiglio europeo sul Qfp possa influire negativamente – con un effetto domino - su tutti gli altri dossier aperti: dal salvataggio della Grecia all’unione bancaria, dal bilancio 2013 al rafforzamento dell’Unione economica e monetaria oggetto del summit del 13 e 14 dicembre. E molto dipende dalle posizioni che assumerà il Regno Unito, che dovrà dimostrarsi convinto di voler restare nell’Ue.

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