Un tempo ormai lontano si diceva che il giornalismo era il “mestiere più bello del mondo”, perché i pochi che facevano questo lavoro, soprattutto nei grandi quotidiani, viaggiavano, visitavano regioni e paesi lontani, incontravano e intervistavano personalità di primo piano. E oggi? Tutto è cambiato: a fronte di una platea di giornalisti professionisti che da anni temono per il proprio posto di lavoro (circa 2mila lo hanno perso o sono “in solidarietà”), i giovani laureati in scienze dell’informazione (alcune migliaia l’anno) bussano alle porte delle redazioni, chiedono sommessamente di poter scrivere una “breve”. Qualcuno ce la fa e lo ottiene, ma la maggioranza rimane fuori. Perché il giornalismo è in crisi. Limitiamo in questa sede lo sguardo ai quotidiani, anche se il discorso vale in maniera diversa anche per il resto della carta stampata, come per tv, radio e siti internet di informazione. Ebbene, rispetto al 2009, le copie diffuse in Italia ogni giorno sono scese da 5,2 a 4 milioni. Cinque anni fa c’erano 11 testate gratuite con 65 edizioni locali per 4 milioni di copie e oggi ne rimangono solo due con mezzo milione di copie. Ma cosa succede? Perché la gente si allontana dalla carta stampata?Con la crisi del 2008 la pubblicità ha iniziato a calare a colpi di -5/10% l’anno. A soffrire è stata soprattutto la carta stampata anche se un po’ tutti i settori sono stati colpiti. In Italia oggi, sul totale degli investimenti degli inserzionisti, il 60% va alle televisioni (il grosso a Rai e Mediaset), il 20% a giornali e riviste, il resto a radio, internet, affissioni murali, volantini ecc. I quotidiani in 8 anni hanno perso circa il 50% delle risorse pubblicitarie. A cascata le società editrici hanno ridotto gli organici di impiegati (-30%), di poligrafici (erano 15mila negli anni ’80, oggi sono 4.300) e di giornalisti. Rispetto all’anno “d’oro” del 1990 quando si vendevano 6,8 milioni di quotidiani al giorno, oggi come già detto siamo ridotti attorno ai 4 milioni. “Corriere della Sera ” e “Repubblica”, per fare due esempi (dati Ads luglio 2015), sono scesi dalle 600mila copie di una decina di anni fa rispettivamente a 377 e 346mila. “Il Sole 24 Ore” arriva a 366mila. Seguono “Gazzetta dello Sport” (228mila), “Stampa” (218), “Messaggero” (143), “Corriere dello Sport” (130), “Qn-Resto del Carlino” (116), “Avvenire” (93) e “Qn-La Nazione” (90). In un quadro di tendenziale calo delle vendite in edicola, l’unica nota positiva riguarda le copie digitali, passate dal 2013 ad oggi da 200 a 537mila. È un trend interessante, da seguire, anche se in termini economici al momento gli editori ricavano dal digitale il 12%, dalle edicole l’80% e dagli abbonamenti l’8%.Su scala mondiale c’è di che sorprendersi. Su 7 miliardi di uomini che vivono sulla Terra, 534 milioni ogni giorno comprano un giornale (7,6 acquirenti ogni 100 persone). La crescita di questi ultimi anni riguarda solo Asia, America Latina e Africa, mentre gli altri continenti perdono lettori: rispettivamente -23% Europa, -20% Oceania e -10% Nord America. Nel nostro continente, la Gran Bretagna, pur avendo più o meno una popolazione uguale a quella italiana, una decina di anni fa aveva 10 milioni di lettori mentre noi ne avevamo 6. Negli ultimi due anni è scesa da 9 a 7,6 milioni. Il “Sun” ha perso il 20,9%, “Daily Mail” il 13,5%, il “Financial Times” -26%, “The Indipendent” – 35,76%. Hanno tenuto solo “The Times” (+1,15%) e “I” (nato dall’ “Indipendent”, 304mila copie e +5,73%). In Francia le perdite sono state meno pesanti, attorno al 10/15%, ma il trend è comunque negativo. Qualche esempio: “Le Monde” -4% l’anno negli ultimi due-tre anni, “Liberation” -15%, “Le Figaro” -8%. Tassi di vendita di giornali più alti sono presenti negli altri paesi europei, come Germania, Olanda, Svezia ecc. dove in media tra il 50 e 60% dei lettori si abbonano e solo il 20-30% compra in edicola (mentre da noi è il contrario).Eppure la lettura complessiva di giornali a livello planetario non diminuisce. Sulla terra 2,5 miliardi di persone, pari al 49% degli adulti, ogni giorno legge regolarmente notizie su quotidiani cartacei o online: si parla di “readership”, cioè la tendenza a leggere (che non coincide necessariamente con l’acquisto). In Italia, purtroppo, questo tasso di lettura è più basso della media mondiale: eravamo al 50% negli anni ’90, oggi siamo scesi al 39,7%, anche se i lettori regolari di quotidiani online gratuiti sono saliti da 2,3 a 3,7 milioni al giorno. In pratica, dal 2010 a oggi i quotidiani cartacei hanno perso 2 milioni di lettori e quelli online ne hanno guadagnati quasi altrettanti, “cannibalizzandosi” al proprio interno. Avviene ad esempio che il “Corriere” gratuito su internet sale e danneggia il “Corriere” a pagamento in edicola che invece scende. Buffo, vero? Altro aspetto è che la cosiddetta “dieta mediatica” (cioè i media usati per informarsi) vede sempre in testa la tv (79%), seguita da quotidiani (44%), internet (40%), radio (18%), periodici (10%). Ormai, solo il 50% dei giornalisti contrattualizzati lavora nel “cartaceo”, il 6% nelle agenzie, il 20% circa in tv e radio e il resto in internet. Come andrà nei prossimi anni? Guardando alla pubblicità mondiale possiamo cogliere il trend più probabile: 80 miliardi di dollari andranno ai quotidiani, 210 alla tv e 180 miliardi a internet. La “Rizzoli Corriere della Sera”, che è il nostro gigante, fattura 1,3 miliardi, poco rispetto al gruppo Murdoch che con “News Corp.” ne accaparra 7,6, Pearson 6,8, i tedeschi di “Alex Springer” 3, “New York Times” 1,4, Gruppo Espresso 0,6, “Economist” 0,45 e “Guardian” 0,29. Il futuro quindi se lo giocheranno la rete e la televisione. Basti pensare che già oggi il 38% della pubblicità mondiale va su Google. Ma i quotidiani e con loro la carta stampata, non scompariranno. Resteranno come una fonte di riflessione e approfondimento. Così almeno si augurano gli studiosi del settore.
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