Le vetrine di Auschwitz sono mute

È sempre con grande imbarazzo che mi accingo a scrivere per la giornata della Memoria,a causa delle migliaia di parole,immagini e celebrazioni che ci vengono propinate ogni anno, che iniziano con il levare del sole e poi, rientrano nel silenzio totale al termine del giorno.E man mano che il tempo trascorre ed aumenta la distanza da chi ha trascorso il buio del “secolo breve” attraverso il dolore della guerra e della deportazione, cresce insieme anche la difficoltà nel parlare e nel trasmettere ciò che ci hanno narrato coloro che hanno attraversato l’immane tragedia e sperimentato in prima persona l’annullamento dell’Uomo.Proprio in questi giorni ho avuto modo di riflettere su ciò che uno scrittore italiano scrive in merito:“È più probabile che, data l’inaudita vastità del fenomeno nessuno si accorgerà che è venuto a mancare l’ultimo internato superstite di un campo di sterminio nazista. Ciò non di meno è indubbio che quel giorno (sobriamente travestito da giorno qualsiasi) arriverà. E porterà un cambiamento non immediatamente percettibile ma alla lunga, a dir poco fatale. Verrà affidato alla prole il compito di tramandare ai posteri il dolore inumano patito dai genitori scomparsi. Toccherà ai figli essere intervistati. Andare nelle scuole. Parlare nelle pubbliche commemorazioni. Toccherà a loro tentare di raccontare. Naturalmente, non potendo avvalersi di una memoria diretta, dovranno contentarsi di narrare ciò che è stato loro narrato dai genitori. È lecito ipotizzare che questi testimoni di secondo grado, coniugando esigenze intime a ragioni pedagogico-istituzionali, accettino di accompagnare le scolaresche nell’ennesimo macabro pellegrinaggio ai campi della morte trasformati in scabri musei dell’orrore. Così come è sensato immaginare che questi figli di deportati proveranno un certo imbarazzo nel parlare di ciò che non hanno vissuto” (A. Piperno, Contro la memoria, pagg. 11-12).Se da una parte è vero ciò che ho citato, dall’altra parte mi sono chiesto se sia lecito allora non parlarne più, consegnare il tutto all’oblio, tenere solo per me quelle parole che mi sono state dette, conservare in esclusiva incontri con Uomini che hanno attraversato il dramma e la tragedia della deportazione e dell’annichilimento.Dovremmo quindi tutti tacere ? Non dovremmo più parlarne perché non l’abbiamo vissuta ? Pensare come Levi, che solo i sommersi potevano parlarne mentre i salvati non ne avevano diritto? Come scriveva anche Elie Wiesel, “quelli che non hanno vissuto quell’esperienza non sapranno mai che cosa sia stata; quelli che l’hanno vissuta non lo diranno mai, non sino in fondo”. Credo invece che dovremmo aprire lo sguardo della Memoria non solo al passato, ma anche vivere la Memoria come sorgente a cui attingere speranza.Ed in questo ripercorrere quegli eventi, quei luoghi quelle persone come speranza per il tempo che mi viene in aiuto Victor Frankl, fondatore della logopedia, il quale ebbe proprio la felice intuizione attraverso l’esperienza della deportazione, e proprio a partire da quell’esperienza conobbe le profondità dell’essere umano:«Che cos’è, dunque, l’uomo? noi l’abbiamo conosciuto come forse nessun’altra generazione precedente; l’abbiamo conosciuto nel campo di concentramento, in un luogo dove veniva perduto tutto ciò che si possedeva: denaro potere, fama, felicità; un luogo dove restava non ciò che l’uomo può «avere», ma ciò che l’uomo deve essere; un luogo dove restava unicamente l’uomo nella sua essenza, consumato dal dolore e purificato dalla sofferenza. Cos’è, dunque, l’uomo? domandiamocelo ancora. È un essere che decide sempre ciò che è. E’ l’essere che ha inventato le camere a gas; ma allo stesso tempo è anche l’essere che è entrato nelle camere a gas, la testa alta ed una preghiera sulle labbra.» (Homo patiens. Soffrire con dignità)Ed io credo che questa sia oggi l’esperienza che dovremo ancora tramandare alle generazioni che verranno: non tacere perché noi non l’abbiamo vissuta, ma invece parlarne perché abbiamo conosciuto e vissuto a fianco con coloro che hanno conosciuto l’uomo abbruttito dall’odio e al tempo stesso l’uomo capace di gesti di amore, di farci comprendere giorno per giorno che l’uomo è un “essere che decide sempre ciò che è”.E di questo tutti ne portiamo la responsabilità, sommersi e salvati.Vorrei concludere riportando un bellissimo testo di Franco Fortini dal titolo “Le vetrine di Auschwitz”:Le vetrine di Auschwitzsono giustamente mutea chi non le investedi una partecipazione presente.Non solo quelle vittimema tutto il passato può parlaresolo a condizione che noigli diamo da bereil nostro sangue,come avviene nell’oltretombadei miti antichi.E per questo è necessariala pressione di passioni edesideri.Possiamo imparare qualcosadallo ieri solo nell’esattamisura in cuidesideriamo un domani.

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