LE TESTIMONIANZE Il Covid e poi l’odissea infinita: «La libertà solo dopo 22 giorni»

Si moltiplicano le storie dei tanti lodigiani rimasti intrappolati nella burocrazia

Non sapere a chi rivolgersi. E finire in un loop fatto di ricerche, telefonate, anche sconforto. Un mix tra preoccupazioni per lo stato di salute e sentimenti diversi. «Disagio, impotenza, rabbia, qualcosa che porta all’esasperazione» lo ha definito chi ci ha scritto ieri. La diagnosi di positività da Covid19, per molti lodigiani tra la fine dell’anno e l’inizio del 2022, è stata anche questo, come raccontano le testimonianze arrivate alla redazione nelle ultime ore. Perché la macchina non ha sempre funzionato alla perfezione, vedasi code di ore per avere accesso a un tampone molecolare o magari, è capitato anche questo, vedersi rifiutare la prestazione dopo tre ore in auto perché il medico non è riuscito a prenotare e ha fornito al paziente solo l’impegnativa.

Vedasi, altra voce di un lodigiano arrivata ieri, gli errori di calcolo della quarantena da parte del medico di base, che lo ha mandato a fare il tampone di fine isolamento 7 giorni dopo la diagnosi di positività del 28 dicembre, anche se vaccinato da oltre 120 giorni. Con il risultato che quando è partito per passare qualche giorno fuori casa, dopo l’esito negativo e il green pass temporaneo, è dovuto tornare subito indietro, per fare un nuovo tampone e chiudere l’isolamento. «Tampone fatto a Rho, perché lì il medico di base ha trovato posto – specifica l’uomo - : ho iniziato a stare male il 25 dicembre, ma non sono riuscito a fare un tampone prima del 28, dato il 26 era festivo e il 27 il medico non è riuscito a trovare disponibilità. Io il 31 non avevo già più sintomi, ma siamo all’11 gennaio e sono ancora in casa, in attesa dell’esito del tampone di fine isolamento e del nuovo green pass da guarigione». «Dopo ben 22 giorni di estenuante attesa posso finalmente tornare alla vita di tutti giorni e apprezzare un bene fondamentale come la libertà. Desidero raccontare quello che ci è successo, come appello alle istituzioni e ai vertici della sanità con l’augurio che non capiti a nessuno altro» scrive invece Erica, alle prese con la positività di tutta la famiglia, dopo un caso emerso nella classe del figlio lo scorso venerdì 17 dicembre. «In tutta questa fase l’Ats è stata inesistente, nessuno di noi è riuscito a parlarci: ho chiesto informazioni al mio medico sulla procedura da seguire e la risposta è stata “attenda ats” e quando è andato in ferie, mi sono rivolta al sostituto, che mi ha suggerito di rivolgermi al mio medico. Ho dovuto insistere per capire cosa avrei dovuto fare e quando e solo allora ho ricevuto l’impegnativa per andare in uno dei centri sul territorio per il tampone, Lodi e Codogno, quando c’erano ore e ore di fila. Più passava il tempo, più aumentava l’angoscia, la sensazione di essere abbandonati. Anche al numero 1500 ci hanno detto sostanzialmente solo di rivolgerci ad Ats». C’è poi chi nel sistema pubblico non è mai entrato o quasi. Il tampone che ha fatto emerge la positività lo ha fatto antigenico in farmacia, a pagamento. Ha ricevuto l’sms di Ats, con il questionario in cui descrivere i sintomi e indicare i contatti stretti, e il provvedimento di isolamento obbligatorio. Stessa procedura dieci giorni dopo: tampone antigenico in farmacia. Ventiquattrore dopo è arrivato il green pass rafforzato e di guarigione, ma non aveva mai ricevuto il messaggio del Ministero con la sospensione di quello precedente per la positività.n

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