Le piccole imprese sgretolate

La crisi economica degli ultimi anni ha prodotto una conseguenza disastrosa per le piccole e medie imprese italiane. Dal punto di vista generale, è cresciuto in maniera esponenziale il divario tra Nord Europa e Italia nell’accesso al credito: le pmi europee che nel 2012 hanno chiesto e ottenuto un finanziamento bancario sono state in Italia il 48%, quasi la metà di quelle tedesche (82%); le microimprese under 10 addetti che hanno chiesto e ottenuto un finanziamento bancario sono state in Italia soltanto il 44%, contro il 77% delle francesi. Nel Mezzogiorno, a questo dato si aggiunge quello relativo al costo del denaro: il differenziale del tasso d’interesse tra Sud e Centro-Nord è arrivato nel 2012 a sfiorare il 35%.Sono i dati più significativi che emergono dallo studio “Crisi dell’eurozona, sistema bancario italiano e squilibri territoriali”, dei professori Luca Giordano e Antonio Lopes, pubblicato sull’ultimo numero della Rivista Economica del Mezzogiorno, trimestrale della Svimez, scritto sulla base di dati Banca d’Italia, Centrale dei Rischi, Banca centrale europea e Bank lending survey.Negli ultimi quattro anni, dal 2009 al 2013, i prestiti alle imprese sono crollati: nel Centro-Nord si è passati dal +7% medio annuo del 2009 al -5,5% del 2013; al Sud, nello stesso periodo, dal +4% al -6,2%. Al Sud, sono state le microimprese, sotto i 20 addetti, a registrare andamenti dei prestiti che vanno da una crescita del 2% medio annuo del dicembre 2008, a -6% quattro anni più tardi. I prestiti nel settore delle costruzioni sono passati da una crescita annua del +4% del 2010 a un calo del -1% del 2012; quelli del settore manifatturiero, sono passati dal calo annuo del -2% del 2010 alla stazionarietà (0%) nel 2012. Questo dato, a parere della Svimez, “evidenzia un preoccupante arretramento di quei settori che storicamente rappresentavano per le regioni meridionali un fattore di stabilità in un quadro di progressivo restringimento della base manifatturiera”.Di fronte a questi numeri, le parole non servono più. Occorre intervenire, per tentare di impedire l’annientamento dell’economia reale dell’intero paese e l’aumento - che sta divenendo obiettivamente irrimediabile - del divario Nord-Sud. Il macigno del debito pubblico, vincolato ai parametri europei, ha impedito all’Italia di seguire la strada intrapresa da altri Paesi - Stati Uniti e Germania, ad esempio - dove l’intervento dello Stato ha costretto le banche a sostenere l’economia reale e a promuovere le politiche di investimento. Lo studio della Svimez pone in evidenza la necessità di una politica monetaria europea più espansiva di quella sinora realizzata dalla Bce, che favorisca una svalutazione del tasso di cambio in grado di aumentare le esportazioni e una politica fiscale altrettanto espansiva. Sembrano chimere - per la verità - considerata la pachidermica difficoltà con la quale vengono prese le decisioni a livello europeo. Altre proposte dello studio riguardano la liquidazione dei debiti della Pubblica Amministrazione, che potrebbe alleggerire la posizione finanziaria delle imprese rispetto alle banche; misure alternative al credito bancario, quali la finanza innovativa, l’emissione dei mini bonds da parte delle pmi, l’uso dei fondi strutturali europei. In assenza di queste misure, per la Svimez si rischia una disgregazione dell’area euro, con un’accentuazione dei divari tra i paes i “centrali” e “periferici”, già misurabile ora attraverso la diversa dinamica degli impieghi, dell’andamento dei tassi di interesse, dei criteri per la valutazione del merito creditizio e della percezione del rischio da parte delle banche.

© RIPRODUZIONE RISERVATA