Quasi si faticava a scorgerle, le tante cascine disseminate nella campagna. Nei giorni scorsi il sottile strato di neve le confondeva con la natura intorno e le avvolgeva come una soffice coltre che ancor di più le proteggeva mentre cercano rifugio nel tiepido grembo della terra. È per lei che sono nate e un amore indissolubile a lei le unisce. Come due esseri teneramente innamorati sono stretti l’uno all’altro e separati non vivono. Da ogni cascina, fiore roseo spuntato da un terreno generoso, si sprigiona un’aura di dolcezza e di incanto, una malia antica che affascina e confonde. Ma l’incanto va oltre. C’è qualcosa di sacro nell’atmosfera che le avvolge, una sacralità che spira come un soffio vitale e chiede rispetto e venerazione.La cascina non è diversa da un tempio, ora abbandonato al suo destino, fino a pochi anni fa vissuto e custodito. La sacralità viene dall’umiltà delle sue forme essenziali, dalla mitezza del suo esistere, dalla struggente nostalgia che evoca; si sublima nel silenzio che prende la voce di Dio, nel rapporto stretto fra natura e Creatore, ma soprattutto scaturisce dall’eco della vita che per secoli essa ha custodito e dal lavoro su cui si è sorretta; dal sudore e dalle lacrime che l’hanno irrorata e resa forte; dalla gioia dispensata nella semplicità dei riti; dai rapporti intessuti, dagli affetti coltivati.Per questo ad ogni cascina mi accosto in punta di piedi, quasi volo su ali di farfalla, rispettosa del luogo e del suo mistero. Non posso violare il suolo che culla la sua intimità. In essa è custodito il ricordo di un’umanità che nella cascina ha trovato l’alfa e l’omega, la sua alba e il suo tramonto. I mattoni polverosi ancora ricordano giochi di bimbi nella corte, suoni di arnesi in perpetuo moto, feste gioiose sull’aia calda di sole, mesti rintocchi resi fiochi dal sibilo del vento o persi nelle gocce di nebbia di inverni avari ed impietosi.L’identità di un territorio non ha mai un solo volto e diversi fattori contribuiscono alla sua connotazione, ma uno è sempre propulsivo agli altri.L’identità più vera del Lodigiano prende forma dalla terra, dalla configurazione del territorio, da una pianura fortemente irrigua e quindi rigogliosa, ma cosa sarebbe stata questa terra senza la presenza delle cascine che, proprio dalla terra hanno attinto e nella terra hanno trovato la fonte per la vita? La loro presenza è stata determinante. Nella cascina, microcosmo in un macrocosmo, si è tessuto fin da primordi l’ordito di una serie di gesti, rapporti, interventi che, lungo la storia, ha dato vita a trame capaci di intrecciarsi e di costruire una ricchezza materiale, ma ancor più umana, sociale, culturale di cui il territorio può e deve essere fiero.Le cascine del Lodigiano, quelle sopravvissute fino ad oggi al dissolvimento, vanno salvate, recuperate, restituite alla loro funzione originaria. Il tempo corrode tutto e l’esistenza è fragile e caduca, ma le cascine hanno un’anima che va ritrovata, un’armonia che va disvelata, perché fondate sull’equilibrio fecondo fra uomo e natura. La loro morte sarebbe la morte della nostra storia, il declino ultimo di una civiltà che per secoli ha affrontato a testa alta le traversie della vita e del tempo con determinazione, coraggio, fiducia, orgoglio. Senza le cascine la nostra terra svilisce la sua fisionomia agricola e rurale ed è sempre più omologata ad una realtà dai contorni vaghi e indefiniti, dove tutto perde forma e si appiattisce. Nelle loro crepe, rughe che il tempo ha scavato con rispettosa dolcezza e senza infierire, si annida la nostra memoria. Sta a noi ritrovarla, ridarle vita, superando la disaffezione, l’indifferenza, l’oblio. Forse siamo ormai sulla via di non ritorno, ma rimane la speranza che ripercorrere un antico e sacro cammino non sia sogno utopico o irrealizzabile.
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