La discussione che dal Governo centrale sta interessando il Paese sul riordino della disciplina del lavoro è una questione tecnica con difficoltà che si intrecciano con i vari provvedimenti adottati negli ultimi trent’anni. Ciò sta ingenerando una pericolosa spirale fra i non addetti ai lavori e cioè due correnti, l’una che guarda ai contratti a tempo determinato e l’altra ai contratti a tempo indeterminato. Questa impostazione, soprattutto in Italia, è sbagliata e pericolosa. Entrambi i contratti sono e devono essere tutelati non perché possono avere dei margini di flessibilità maggiori per chi li adotta, bensì perché hanno un carattere diverso a seconda della mansione richiesta.Mentre il tempo determinato è applicabile ad una mansione per definizione sostituibile con relativa semplicità, quello indeterminato è collegato ad un ciclo complesso che passa da una conoscenza di base, una adeguata formazione iniziale, un apprendimento del luogo e degli strumenti, un adeguamento costante, una collaborazione al prodotto/servizio ottenuto. Questo modo di lavorare a reso al Paese fama di creatività e qualità che altri non potranno mai avere. Se quindi, si comincerà a confondere la finalità per cui vi è la necessità di assumere con lo strumento apparentemente più conveniente il rischio nel medio e lungo periodo è quello di perdere questa caratteristica che ancora ci sta tenendo a galla nella competitività internazionale.Altrettanto dicasi per il tempo determinato. I margini di conoscenza sono limitati e finalizzati all’evasione di un “ ordine” che ha un inizio e una fine e, può dare esperienza ad un soggetto per eventualmente approfondire e ricercare in quel ramo d’attività la propria capacità.Concludendo, un invito a non confondere i due strumenti, chi esagererà, da un lato perderà nel tempo la capacità di competere; chi utilizzerà solo l’altro vorrà dire che il Suo mercato è maturo e si dovrà preoccupare di introdurre innovazione per sopravvivere.
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