L’articolo 18 e il principe di Salina

Articolo 18. Se non ci fosse di mezzo il lavoro che è sacro, verrebbe da chiamarlo un bizantinismo della politica economica italiana. Rimanda a Tomasi di Lampedusa: cambiamo tutto purché non cambi nulla.La legge è del 1970, Il 2000 portò le prime avvisaglie di scontro. Nel 2002 il primo tentativo di modifica naufragò. Nel 2003 si pensò a un referendum. Affondò malamente. Nell’agosto del 2012 si cerco di aggirarlo con la norma sugli accordi aziendali. “Logica” e vespaio giuridico si conoscono. C’è sempre qualche motivo perché le cose “complesse” non interessino i sostenitori delle cose “semplici” e quelle “poco astruse” non piacciano ai cavillosi. La lotteria Fornero nacque dall’esigenza di “semplificazione”. Consegnò ai giudici maggiori poteri di decisione. A titolo di puro esempio: definire se il licenziamento è legittimo o illegittimo. Nel caso in cui sia illegittimo se è discriminatorio o non discriminatorio. Nel caso in cui non è legittimo e non discriminatorio se il licenziamento è economico o disciplinare Nel caso in cui il licenziamento è disciplinare, se si deve imporre la reintegrazione o solo il risarcimento del lavoratore. Effetti prodotti: tempi allungati, ingolfamenti di cause, costi aggiuntivi, riduzione del numero delle sentenze definitive. A guadagnarci solo gli avvocati in cause di lavoro.Da quindici anni il dibattito racconta di posizioni decise: chi lo vuole eliminare e chi lo vuole estendere, chi lo considera un “tappo” alla crescita delle piccole imprese e chi lo difende perché è un diritto inalienabile (per i lavoratori dipendenti e per i lavoratori autonomi).Sia chiaro: non intendiamo qui entrare negli aspetti di merito della disputa,. Ci mancherebbe! Semplicemente richiamare l’attenzione sul modo di agire dei duellanti. Che non sono mai due – i pro e i contro – bensì un casino. Sull’argomento si sono spesi fiumi d’inchiostro. Nelle rispettive trincee maggioranze e opposizioni politiche, maggioranze e minoranze interne, giuslavoristi e rappresentanze degli interessi continuano a contestarsi. La materia si presta a spiegazioni strumentali, slogans e schieramenti di bandiera. Chi ha cercato di inserire l’articolo 18 in una visione più ampia di riforma del lavoro, ha sempre dovuto fare i conti con i tatticismi.Il carattere molto ideologico del contendere ha rosolato ogni tentativo di legare le argomentazioni dell’una e dell’altra parte. In questo hanno giocato anche le anomalie comportamentali delle imprese, che hanno contribuito a un bel po’ di confusione. Ma parecchia ne hanno creata anche i talk show con le loro dispute interminabili su questo o su quel punto accentuando le incertezze dell’opinione pubblica. Soffermarsi sui dettagli (anche statistici), le ragioni del contendere possono apparire più o meno robuste o più o meno anomale. La stampa poi non ha aiutato a squarciare i veli dell’ipocrisia, i messaggi in codice e tutto quanto sta dietro all’articolo 18. Perchè è chiaro, dietro all’articolo 18 non ci stanno solo gli interessi dei lavoratori e delle imprese. Praticamente tutti vogliono eliminare qualcosa, tutti vogliono garantire qualcuno. Tutti invocano “riforme decisive” che non fanno i conti con la realtà. In una situazione di grave crisi, sarebbe più utile forse confrontare il valore sociale della tutela e il costo che esso comporta. Esercizio econometrico assai complicato.Un economista, Michele Salvati, in un recente articolo ha usato una metafora. Ercole per ripulire le stalle deviò due fiumi e ne fece passare le correnti attraverso le stalle. Ma adottare un metodo rapido ed efficace in Italia non c’è il rischio di portar via insieme alla sporcizia anche la stalla?

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