L’approccio nei confronti del Bio Parco

L’ingegner Carlo Filippo Moro ha indirizzato al direttore del Cittadino alcune riflessioni sul dibattito in corso, legato al futuro del nostro territorio, mai come di questi tempi pressante, quasi di drammatica attualità. Come annunciato, pubblichiamo la terza e ultima parte del suo intervento.

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Sette notizie apparentemente scollegate fra loro, apparse recentemente su “Il Cittadino”, mi inducono ad una riflessione: Le aziende fate nascere nell’ ”incubatore” del Parco Tecnologico Padano, dopo qualche anno devono migrare, in genere lontano da Lodi, perché il Bio-Park non decolla.

Il Comune di Lodi medita di vendere quello che resta del Linificio, per fare quadrare il proprio bilancio.

Il polo industriale di Lodi San Grato è saturo di edifici nuovi ed è dotato di altre aree dismesse, che non trovano compratore.

La Camera di Commercio ritiene che il Bio-Park debba essere ubicato a più stretto contatto con l’Università e con il Parco Tecnologico Padano.

Comune di Lodi e Provincia si propongono di coinvolgere i privati nella realizzazione del Bio-Park, perché gli Enti hanno il fiato corto ed il portafoglio vuoto.

Gli operatori locali (industriali, artigiani, operatori del credito) auspicano iniziative pubbliche per rimettere in moto la stagnante economia locale.

Gli agricoltori e gli ambientalisti (ma non soltanto loro) ritengono doveroso salvaguardare il suolo agricolo, pronti a fare le barricate se le centinaia di migliaia di metri quadrati verdi di Villa Igea venissero coperti da quella che si è soliti definire “colata di cemento”.

Eppure il Bio-Park sarebbe utile per il Lodigiano, non in alternativa, ma proprio in quanto territorio a forte vocazione agricola. In una situazione irta di incertezze e difficoltà, come quella in cui versa l’agricoltura, in un territorio che giustamente non vuole rinnegare le sue tradizioni e vocazioni agricole, è illusorio pensare che si possa uscire facendo un passo indietro, ossia riproponendo un equilibrio passato, che non ha nessuna possibilità di ripetersi tale quale.

Innanzitutto, perché l’equilibrio passato, spesso mitizzato, era tutt’altro che statico, ma anzi proiettato verso il futuro. L’agricoltura lodigiana della fine del XIX° secolo e della prima metà del XX° secolo poggiava non solo su una fitta serie di floride e ben gestite aziende agricole, ma aveva generato in luogo importanti imprese industriali collaterali (Polenghi Lombardo, Linificio e Canapificio, Sordi, Liap – Zazzera, Concimi Chimici ecc.), centri di ricerca (Colture Foraggere, Istituto di Caseificio, Centro Tori ecc.), banche specializzate (Banca Popolare Agricola di Lodi), uffici e servizi tecnici (Consorzio di Muzza, Bonifica Bassa Lodigiana), centri di stoccaggio e di commercializzazione (Consorzio Agrario, Magazzini Generali, Ortomercato). E tutto questo insieme di attività poteva a buon diritto definirsi “agricolo”, anche se si esplicitava sia in aziende agricole, sia in settori industriali e terziari, perché traeva fondamento dall’agricoltura e dalla trasformazione dei suoi prodotti, e perché sempre riversava sull’agricoltura i suoi servizi ed il risultato delle sue ricerche.

Quasi tutto questo valido sistema si è ora inceppato, se non addirittura dissolto, per cause sia locali, che esterne; al contrario il rinnovato interesse, con cui da qualche tempo l’opinione pubblica e il mondo politico europei guardano all’agricoltura e la vocazione del Lodigiano fanno ritenere che sia giunto il momento di riproporre in luogo un nuovo “sistema agricolo”, simile nelle sue componenti intersettoriali a quello storico sopra ricordato, ma aggiornato alle mutate condizioni economiche, sociali, scientifiche attuali.

Di questo nuovo sistema agricolo la ricerca, la didattica e l’insediamento di attività produttive connesse con l’agricoltura possono trovare la loro più valida concretizzazione, qualora venissero portati a conclusione l’insediamento universitario (Veterinaria ed Agraria), il consolidamento del Parco Tecnologico Padano, la riorganizzazione degli Istituti Statali di Ricerca in campo agricolo, la conservazione delle scuole agrarie professionale e superiore già esistenti ed, infine, il proposto Bio-Park.

Alcuni contenuti del “Bio-Park” sono da ritenersi rigidi e, pertanto, rappresentano vincoli non facilmente superabili per un positivo decollo dell’iniziativa. Fra questi mi pare si debbano annoverare:

l’immediata, o comunque rapida, disponibilità di aree e/o di immobili; ed al riguardo la proprietà pubblica degli stessi costituisce certamente un fattore positivo;

i costi contenuti per i futuri utilizzatori rispetto ad altre opportunità di localizzazioni, sia in termini di aree che di urbanizzazioni;

la vicinanza, o almeno la facilità di collegamenti, del “Bio-Park” sia con l’Università che con il Parco Tecnologico Padano; analogamente con la stazione ferroviaria, il casello autostradale, il centro di Lodi.

Un aspetto sicuramente da riconsiderare riguarda, invece, l’opportunità (o meglio l’indispensabilità) di ridurre al minimo il consumo di suolo agricolo per l’iniziativa ed una verifica critica del reale fabbisogno di aree e di strutture, che nel progetto di Villa Igea potrebbe apparire sovradimensionato.

Al riguardo proporrei di effettuare una analisi di fattibilità (circa tempi, costi, procedure, implicazioni urbanistiche, ritorni economici) di almeno tre ipotesi di insediamento, alternative a Villa Igea, che si possono anche sommare tra loro, e precisamente:

1) L’utilizzo degli edifici industriali vuoti e delle aree al contorno a San Grato e presso la Polenghi Lombardo, eventualmente estensibili alla vicina azienda agricola inutilizzata e pressocché incolta di cascina Valvassora.

2) L’utilizzo dell’attuale sede dell’Istituto Sperimentale Colture Foraggere (proprietà statale), in Viale Piacenza, facilmente collegabile alla tangenziale est con uno svincolo lungo la strada Vecchia Cremonese.

3) L’utilizzo, almeno per attività a carattere di laboratori di ricerca ed uffici, degli spazi coperti ancora disponibili presso l’ex Linificio (proprietà comunale), in cui sono ricavabili circa 20.000-25.000 mq di superficie di pavimento, a stretto contatto con la stazione ferroviaria e la tangenziale sud.

Su questa ultima ipotesi, in particolare, il Comune di Lodi dovrebbe svolgere una approfondita riflessione, prima di svendere un immobile strategico per localizzazione e per potenzialità di pubblico interesse.

Il tutto gestibile attraverso una società mista tra titolari degli immobili (pubblici e privati), operatori economici (imprese di costruzione, artigiani), istituti bancari, enti pubblici.

Effetti collaterali non trascurabili: nessun consumo di territorio agricolo; rafforzamento dell’indotto economico locale; soluzione di alcune criticità urbanistiche della città

Carlo Filippo Moro

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(3 - fine)

n La prime due parti del corposo intervento dell’ingegner Moro sono apparse in prima pagina sul «Cittadino» di sabato 26 e di lunedì 28 maggio.

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