“L’Italia non sta bene”. O bella! Eppure, qualcuno non se n’era accorto. Se la prende con le statistiche ufficiali che “sottostimano il reale andamento del mercato”. Sono le stesse statistiche che mandano su e giù le borse e i differenziali degli spread che spazzolano i quattrini della gente. Detto fuor dai denti: dei profeti del rating me ne impippo, serviranno anche ma non posso scordare le loro malefatte, m’arrabbio però se sento dire che così va tutto il mondo occidentale e l’Europa, non solo noi... Tra noi e gli altri c’è qualche differenza. Anche adesso, dopo tre anni di piazzisti in tv che assicuravano sulla solidità dei nostri conti, la saldezza delle banche, la fine della crisi, la ripresa avviata, la robustezza dei nostri fondamentali e sul fatto che l’Italia non era la Grecia, l’Islanda, il Portogallo, la Spagna. Un ottimismo smisurato. Con quali esiti? Intanto è dal 1993 che non cresciamo. Che non riusciamo a tenere il passo economico e sociale dei paesi avanzati. Da quando il governo Amato attuò una manovra di dimensione analoga a quella attuale, dal lato delle tasse. Le famiglie ridussero i consumi che crebbero la metà e gli investimenti non si ripresero più. Fuorché la spesa pubblica, che esisteva già e con essa esisteva il debito. Historia magistra vitae? Graziaddio, siamo ancora una potenza manifatturiera, benché da vent’anni dimostriamo una incapacità di crescere e accusiamo un qualcosa d’altro che ci fa immaginare un Paese in declino: la crisi della politica in assoluto; la mancanza di un disegno industriale; l’incapacità di elaborare politiche per lo sviluppo; le imprese che navigano a vista; il dilagare della criminalità economica; l’inefficienza dello Stato e delle sue istituzioni; il potere delle lobby; l’allegra finanza di tanti comuni, province, regioni, aziende pubbliche; l’abbandono dell’università e della scuola, il disinteresse per la ricerca; l’intreccio tra politica e affari, sanità e affari, appalti e faccendieri; la giustizia che non funziona per scelta politica; l’evasione e l’elusione da terzo mondo; le società di comodo; le angherie subite dai contribuenti onesti; eppoi, il lavoro che non c’è, il diritto negato e piallato il sociale smarrito, la trasparenza sperduta, il merito benemerenza, la burocrazia tabù, le carceri incivili eccetera eccetera.Sono le nostre malattie, verso le quali non sono mancati interventi, ma più per curarne i sintomi. La differenza tra noi e gli altri è qui, non solo nell’ampiezza del debito pubblico. Nella incapacità di rimetterci in gioco. Rende d’attualità una domanda: con i problemi non risolti e considerati e gli obblighi imposteci dall’ Europa il pareggio di bilancio non basterà a rilanciarci. Soprattutto, come sarà possibile farlo se ancora oggi (16 settembre), c’è qualche “consigliere economico” che va in giro a dire che nel secondo trimestre dell’anno 2011 siamo cresciuti poco perché le imprese hanno venduto le scorte accumulate nel semestre precedente e ci vede “un po’ tedeschi”, che “comprimiamo” (cioè stringiamo noi) il mercato interno per poter esportare di più? Dire vaneggiamenti è dire poco. Se non ci fosse qualcun altro che parla di “complotti”, ignorando che i complotti ci sono sempre stati e sono la parte naturale del mercato.
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