La vera misura della vita è il ricordo

Ho utilizzato come titolo di questa breve riflessione una frase di Walter Benjamin, filosofo, scrittore, critico letterario e traduttore tedesco di origine ebraica, suicidatosi il 25 settembre 1940 per il timore di essere rimpatriato in Germania, dopo il tentativo di imbarcarsi dalla Spagna franchista verso gli Stati Uniti. Benjamin, da grande intellettuale, aveva intuito quello che sarebbe poi accaduto nella sua patria a tutti quelli che non sarebbero appartenuti per motivi politici, religiosi o razziali al “Nuovo Ordine”. È sempre in agguato la tentazione di svuotare il senso di questa giornata particolare trasformandola in un ricordo pieno di routine, di manifestazioni ufficiali, discorsi commemorativi che rischiano spesso di essere delle apparenti liturgie, prive però di quel significato che la legge istitutiva di questa giornata contempla nel suo breve articolo due: “In occasione del «Giorno della Memoria» di cui all’articolo 1, sono organizzate cerimonie, iniziative, incontri e momenti comuni di narrazione dei fatti e di riflessione, in modo particolare nelle scuole di ogni ordine e grado, su quanto è accaduto al popolo ebraico e ai deportati militari e politici italiani nei campi nazisti in modo da conservare nel futuro dell’Italia la memoria di un tragico e oscuro periodo della storia nel nostro Paese e in Europa, e affinché simili eventi non possano mai più accadere” (Legge 20 luglio 2000, n. 211, «Istituzione del «Giorno della Memoria» in ricordo dello sterminio e delle persecuzioni del popolo ebraico e dei deportati militari e politici italiani nei campi nazisti»).

Sono trascorsi ormai ben settantadue anni dal termine del secondo conflitto, diciassette anni dalla promulgazione della legge che istituiva il Giorno della Memoria, ma l’impatto di questa Memoria nelle nuove generazioni non ha sicuramente ottenuto l’effetto sperato.

Durante l’ultimo congresso dell’Aned (Associazione Nazionale Ex Deportati nei campi nazisti) tenutosi a Bolzano nel novembre 2016, è stato presentato il rapporto del sondaggio realizzato da Ipsos per ANED presso un campione rappresentativo dei giovani di età compresa tra i 16 e i 25 anni residenti in Italia secondo genere, età, livello di scolarità, area e ampiezza del comune di residenza.

Sono state realizzate 750 interviste online (su 1.453 contatti), mediante sistema CAWI, eseguite dal 18 ottobre al 2 novembre 2016.

Riporto semplicemente le conclusioni di questa indagine.

Democrazia, antifascismo, immigrati. Se l’importanza di vivere in un paese democratico non è messa in discussione, alcuni difetti del sistema sono criticati. Una quota rilevante dei giovani chiede, infatti, l’abolizione dei partiti, che non sono visti come indispensabili per una sana vita democratica, mentre si rileva una certa difficoltà dei regimi democratici nel prendere decisioni. Più della metà dei giovani si dichiara antifascista e oltre il 60% pensa che il tema dell’antifascismo sia tuttora attuale. Tuttavia il regime fascista non è condannato in toto: due terzi dei giovani pensano che abbia anche portato benefici al paese. Sull’immigrazione, prevale l’ accoglienza (il 37% propenso ad accogliere tutti, il 39% a dare ospitalità solo ai perseguitati e non ai rifugiati economici). Tuttavia l’ immigrazione rappresenta per molti una minaccia e una consistente minoranza ritiene che la loro presenza stia rovinando le nostre tradizioni e la nostra cultura.

Shoah e deportazioni. La Shoah è certamente conosciuta: due terzi dei giovani ne danno una descrizione corretta e quasi tutti (il 96%) ne ha almeno sentito parlare. È valutata come una grande tragedia ma comparabile ad altre di cui si parla meno. La scuola è un veicolo importante d’informazione: circa tre quarti ha partecipato almeno una volta a iniziative su questo tema organizzate dalla scuola. Oltre il 90% poi valuta importante trasmettere la memoria dei campi di concentramento, perché la storia non si ripeta, perché tutti sappiano quello che è successo e perché i giovani imparino la tolleranza. I pochi che invece non ritengono utile parlarne pensano che oggi ci siano problemi molto più importanti, che la Shoah sia un avvenimento ormai lontano nel tempo e che ormai se ne sia parlato fin troppo. Anche in questo caso la scuola è ai primi posti in termini di veicolo utile per la conoscenza degli avvenimenti, ma anche tutti gli altri mezzi (tv, giornali, web, social network) sono ritenuti adatti.

La conoscenza delle caratteristiche delle deportazioni in Italia rivela lacune. Infatti, nonostante circa l’80% dichiari di conoscere almeno abbastanza bene la storia del regime fascista, si pensa che, dopo gli ebrei, il gruppo più deportato sia quello degli omosessuali, quindi degli zingari e dei rom, che in realtà sono stati fenomeni marginali. All’ultimo posto invece gli operai, che al contrario sono stati tra i più colpiti. Mediamente si valutano deportate dall’Italia nei campi di sterminio circa 55.000 persone, con poco meno del 30% che pensa ne siano state deportate al massimo diecimila, e circa un quarto che pensa invece che le deportazioni abbiano coinvolto più di 100.000 persone. Il giorno della memoria rappresenta un momento centrale nella propagazione del ricordo: il 90% dei giovani ne conosce l’esistenza, oltre la metà ha partecipato almeno una volta a un evento connesso a questa giornata, i due terzi si sentono coinvolti da questa ricorrenza.

Per chi volesse approfondire, è possibile accedere mediante il collegamento ipertestuale.

http://www.deportati.it/static/upload/rep/report-ipsos-per-aned_conferenza-stampa-def.pdf

A distanza di tempo credo sia giunto il momento di pensare a un ricordo che per essere vera misura della vita non si accontenti più di una memoria superficiale ed emotiva, ma che si radichi sempre di più nella comprensione dei fatti oggettivi, delle cause, delle condizioni che hanno portato a queste terribili e inumane conseguenze, che possa diventare in tal modo l’anticorpo a un qualcosa che non possiamo mai dire totalmente sconfitto, quasi un virus che rimane nascosto in agguato in attesa di “tempi buoni” per riemergere.

E a questo soprattutto vanno preparate le nuove, e a volte ignare, generazioni.

Vorrei terminare citando un articolo di Beppe Severgnini apparso sul Corriere della Sera:

“Libertà e memoria vanno insieme. La storia, se non si frequenta, si dimentica. Nuove generazioni senza cicatrici potrebbero commettere errori drammatici. […] Le democrazie hanno bisogno di sentinelle, non di tifosi.”. (Beppe Severgnini, Le sentinelle della democrazia, Corriere della Sera, 18 gennaio 2017 – commento all’elezione del nuovo presidente degli Stati Uniti d’America).

Compito molto arduo e delicato fare la sentinella se non si conosce la vera misura della vita.

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