C’è una storia da raccontare che per quanto inquietante prende spunto da un fatto realmente accaduto che per nessuna ragione al mondo può trovare una benché minima giustificazione. Ci sono, poi, dei genitori che si battono per rendere note le angherie, i soprusi, le umiliazioni di cui sono talvolta vittime i propri figli. È successo in una scuola canadese, ma che, per i fatti denunciati, potrebbe benissimo far parte della casistica delle nostre scuole. È la triste storia di Amanda Todd, una ragazza quindicenne rimasta vittima dell’umiliazione subita da un suo coetaneo conosciuto attraverso la rete. La storia tra i due comincia in internet e come spesso accade tra adolescenti, continua sulle chat fino a quando la freddezza del rapporto virtuale viene superata dall’entusiasmo alimentato dai messaggi che i due ragazzi costantemente si scambiano. La relazione cibernetica col tempo trova linfa e si rafforza nella curiosità che, sia pur priva di quella malizia tipica degli adulti, si appaga attraverso determinate regole del gioco. E anche in questo caso il pericoloso gioco, che nel frattempo è nato tra i due ragazzi, vuole una sua regola. Nel caso di Amanda è quello di cedere alla richiesta di un particolare autoscatto avanzata dallo sconosciuto coetaneo. Spesso l’autoscatto, un fenomeno oggi così frequente tra gli adolescenti, suggella l’amicizia in cambio di un «piatto di lenticchie». Ed è proprio quello che è accaduto. Alla ragazza viene chiesto di mostrare il seno nudo sulla web cam. Un po’ per gioco, un po’ per ingenuità, un po’ per quella strana amicizia virtuale nel frattempo consolidata, il desiderio viene appagato. Ma è proprio questo particolare desiderio che si rivela fatale per la giovanissima Amanda. La foto, infatti, attraverso la rete raggiunge amici di scuola, famigliari, parenti. E’ l’esibizione compiaciuta della propria impresa che di lì a poco dovrà fare i conti con il vuoto del cuore. Inizia, infatti, un periodo che viene vissuto tra ricatti, tormenti, insulti e minacce. Una storia insopportabile che si concluderà con la tragica decisione della ragazza. Quella foto spregiudicata, sbattuta ai quatto venti, diventa motivo di rimproveri, umiliazioni, isolamento, angherie. Gli amici non sono più amici; i genitori non riescono più ad essere padre e madre; la scuola ignora mentre i docenti anche se fisicamente presenti durante gli avvenimenti, sono assenti sul piano educativo. La quotidianità è turbata, mentre l’equilibrio psicologico di Amanda vacilla. Una vicenda troppo grande, troppo complessa, gestita nella più cattiva solitudine. Dall’altra parte della storia il cyber bullo se la ghigna, si diverte e si tronfia della sua bravata. Ma la fine della storia è vicina. La ragazza dopo tanta umiliazione, isolata da amiche e amici, oggetto di risentimento da parte di parenti e famigliari, dimenticata dai docenti, decide di farla finita. Dopo di che tutti si sono sentiti sorpresi dalla tragica decisione presa da una ragazza così sola, così lontana dalla sua stessa età, sprofondata in una indifferenza sociale a cui oggi siamo tanto abituati da non sentirci più nemmeno sfiorati dai tanti biechi avvenimenti. La ragazza ha provato a scuotere la coscienza di qualcuno, mandando in rete, prima del tragico gesto, un filmato che la ritrae mentre sfoglia messaggi di aiuto che cominciano con un drammatico: «Mi chiamo Amanda Todd. Non ho nessuno, ho bisogno di qualcuno». La paura di essere rifiutata e abbandonata si impone più dell’ansia e dell’apprensione. Tutto inutile. Solo a dramma consumato si è capito la portata di quel messaggio all’apparenza vuoto, così insolito, eppure così carico di speranza. La speranza che qualcuno si occupasse di lei. A nulla è servito cambiare continuamente scuola nella speranza di ricominciare a vivere una nuova esperienza di vita. Ma la rete non perdona. La rete insegue ovunque e chiunque cerca di fuggire, trascinando nello sconforto chi il dramma della solitudine lo vive sulla propria pelle. Internet non guarda in faccia a nessuno. Non distingue un adulto da un adolescente, un estroverso da un introverso, un tranquillo da un turbato. Un anno di angherie è già di per sé insopportabile per un adulto, figuriamoci per una ragazza di quindici anni. Troppo giovane per affrontare da sola la situazione, troppo sola per avere la forza di reagire. La scuola ha sbagliato perché non ha saputo o non ha voluto leggere il disagio che come un iceberg emergeva su quel viso di adolescente. Ma dentro il suo cuore quella ragazza non provava più amore per il mondo circostante. Siamo alle solite. Non sempre gli adulti riescono a capire le motivazioni di fondo che sono alla base di certi fallimenti esistenziali. Eppure la ragazza aveva dato forti segnali. Il consumo di alcol e droga in cui si era rifugiata aveva, nel frattempo, lanciato un pericoloso allarme. I continui cambi di scuola erano un tentativo, messo in atto dai suoi genitori, per allontanarla dalla fonte del disagio. Ma il disagio, come un’ombra maledetta, era proprio lì, accanto a lei, sempre pronto a rivelarsi nelle sue diverse sembianze così come apparivano diversi i vari compagni di scuola richiamati dalla rete a godere della «fama» cha accompagnava quella ragazza sul suo profilo di Facebook. Ora il padre invita le scuole a mandare in onda il video con lo scopo di far rivivere, tra gli adolescenti, la storia di sua figlia per contribuire in qualche modo a combattere il fenomeno del ciberbullismo. L’effetto emulazione, però, non mette tutti d’accordo. La scuola, poi, ha sbagliato due volte. La prima volta per non aver risposto al richiamo del video lanciato da Amanda su YouTube. Un video che gridava aiuto nel più assordante silenzio, mentre ancora oggi è lì a testimoniare l’orrore che corre nella rete spesso impietosa nei confronti di tutti soprattutto degli adolescenti. Una seconda volta per aver chiuso ogni porta che poteva mostrare un diverso cammino di vita. Quel cammino la scuola a quella ragazza non l’ha mostrato semplicemente perché non ha saputo o non ha voluto mostrarlo. Eppure, ci ricorda Freud, «la scuola non deve mai dimenticare di avere a che fare con individui ancora immaturi».
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