La storia di ieri diviene storia di oggi

Il 18 agosto scorso, a novantatré anni, è morto Ernst Nolte, professore emerito di storia contemporanea alla Libera Università di Berlino. Nell’occasione, i media hanno rievocato la querelle alla quale lo storico e filosofo tedesco diede inizio il 6 giugno 1986, pubblicando sul quotidiano «Frankfurter Allgemeine Zeitung» un articolo intitolato ‘Il passato che non vuole passare’. Una querelle che non riguarda soltanto il passato, ma anche - drammaticamente - il presente. È per questo, lo si voglia o no, che quel passato non può passare.In estrema sintesi, la tesi di Nolte istituisce un rapporto di causa-effetto tra bolscevismo e nazismo, stragi staliniste e shoah, barbarie slava e soluzione finale: in altre parole, secondo lo studioso, il nazionalsocialismo avrebbe rappresentato una reazione difensiva della Germania (e dell’Europa) alla temuta invasione da parte dell’Unione Sovietica. Il nazismo, dunque, fu una necessità, un male nato da un altro male più grande. Questa tesi incontrò immediatamente favore sia nel mondo accademico sia nell’opinione pubblica. Erano gli anni – appena precedenti alla caduta dei muri - in cui la Germania assumeva consapevolezza delle responsabilità della Wermacht (le forze armate, letteralmente la ‘Forza di Difesa’ tedesca) e della popolazione civile nella macchina dello sterminio, che il processo di Norimberga (celebrato tra il novembre 1945 e l’ottobre 1946) aveva ascritto ai soli alti gradi del nazismo.Proprio nella città di Francoforte, coadiuvato dai due giovani pubblici ministeri Johann Radmann e Otto Haller, il procuratore generale Fritz Bauer aveva istruito tra rimozioni e ostilità il processo contro i responsabili del campo di Auschwitz, concluso nel 1965 con condanne non eclatanti ma significative (la vicenda è rievocata nel bel film di Giulio Ricciarelli ‘Il labirinto del silenzio’, del 2014). Accanto a questi responsabili “minori”, decine di migliaia di persone “normali”, di donne e uomini comuni, non solo restarono indifferenti, ma approvarono lo sterminio di milioni di inermi e - come è stato ampiamente dimostrato - vi collaborarono.Ebbene, Nolte si fece interprete dell’insofferenza e del rifiuto di riconoscere la responsabilità di una parte della società tedesca nell’accaduto, iscrivendo l’ascesa di Hitler al potere e la sua politica genocidaria in un meccanismo di consequenzialità assolutorio e semplificatorio. C’è di più. Pur non essendo esplicitamente negazionista, la tesi di Nolte ha di fatto legittimato il revisionismo strumentale, l’equalizzazione delle ideologie, la giustificazione e banalizzazione del nazismo, quale risposta a un evento esterno alla Germania (e all’Europa, poiché l’Unione Sovietica era considerata altro rispetto alla civiltà del vecchio continente), ovvero inevitabile conseguenza della rivoluzione bolscevica.Non è così. Lo sterminio di undici milioni di inermi poteva non accadere, doveva non accadere. Se è accaduto, è perché vi sono stati uomini e donne che lo hanno pensato e pianificato, con efficienza e determinazione, che vi hanno collaborato e assistito, con soddisfazione o indifferenza.Se pure non ha favorito la rinascita dei movimenti neonazisti, con la sua tesi Nolte ha certamente contribuito alla diffusione dell’antisemitismo e della xenofobia che attraversano l’Europa contemporanea. Del che, come intellettuale, avrebbe dovuto essere ben consapevole. «È avvenuto, quindi può accadere di nuovo: questo è il nocciolo di quanto abbiamo da dire» ammoniva Primo Levi.La storia di ieri diviene storia di oggi. Lo comprendo grazie all’esperienza condivisa del Sentiero Beltrami, che percorro con altri ardimentosi (oltre quattordici ore di cammino tra monti fino a duemila metri in meno di due giorni!) il 16 e 17 agosto scorsi. Ricordiamo i valori della Resistenza e il capitano Filippo Maria Beltrami, che, dopo aver dato vita alla prima brigata partigiana del Cusio, alla fine del gennaio 1944 lasciò la val Strona per cercare rifugio nel Verbano e nell’Ossola e cadde a Megolo il 13 febbraio, in battaglia contro nazisti e fascisti (con lui morirono, tra gli altri, il lodigiano Bassano Bressani e il codognese Angelo Clavena).Tra gli ardimentosi spiccano per allegra vivacità alcuni giovani, ragazzi e ragazze dell’ANPI Monza e Brianza. Parlo con loro: sono di ritorno da Ventimiglia, dove hanno partecipato a un presidio in solidarietà con le ‘persone in viaggio’, in fuga da guerre, violenze, persecuzioni, ora trattenute nel campo di Parco Roja in condizioni inumane; persone che manifestano in silenzio sugli scogli dei Balzi Rossi, senza mangiare e senza bere, sotto il sole di inizio agosto. I giovani raccontano, seri: chi offre ai migranti una bottiglietta d’acqua per dissetarsi riceve immediatamente dalla Questura il foglio di via, ovvero il divieto di transitare e sostare in Ventimiglia e nei comuni limitrofi per tre anni, in quanto «socialmente pericoloso».Torno con la memoria storica al settembre 1943, nel Lodigiano. Ora è il mio turno di raccontare: alla stazione ferroviaria di Secugnago, ove lavora come operaio alla Polenghi Lombardo, il giovanissimo Giuseppe Bossi distribuisce acqua ai soldati italiani rinchiusi su un treno merci fermo in stazione, prigionieri degli occupanti nazisti. «In seguito il giovane Bossi avrebbe militato nella brigata garibaldina di Casalpusterlengo, avrebbe maneggiato un’arma, - scrivono Ercole Ongaro e Gianluca Riccadonna in ‘Percorsi di Resistenza nel Lodigiano’ - ma la sua resistenza era iniziata nei giorni a ridosso dell’8 settembre, issandosi sulla testa un secchio d’acqua per dissetare dei prigionieri sulla via della deportazione».Il rifiuto di accogliere, il trattenimento alla frontiera, lo sgombero con violenza fisica e verbale – quel ‘Quickly’ gridato ai migranti strattonati via dagli scogli rievoca sinistramente lo ‘Schnell’ ringhiato ai deportati in arrivo nei lager - si dice siano una reazione difensiva, in questo caso della Francia (e dell’Europa) alla temuta invasione di persone in fuga da Siria e Afganistan, Eritrea e Somalia. Una necessità, dunque, un male nato da un altro male più grande.Non è così. Se la storia di ieri è anche la storia di oggi, il passato non può passare.

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