La situazione economica della provincia di Lodi è ben chiara ad ognuno di noi, allo stesso modo le tesi del Libro Bianco per il Lodigiano del futuro sono facilmente condivisibili con un minimo di lungimiranza e di onesta vocazione al bene comune. Rimane però un nodo da sciogliere, è un divario di natura temporale che ci pone di fronte il seguente quesito: questa prospettiva così profonda proposta dal Libro Bianco, necessariamente con un orizzonte di lungo periodo, è compatibile con le attuali emergenze occupazionali? Dobbiamo chiederci con onestà se questa nostra ambizione ad un lodigiano diverso e migliore possa coniugarsi con le attese di coloro che sono senza lavoro, o lo hanno perso, e non hanno le forze per pensare ad un futuro lontano ma sono ripiegati sulla prospettiva di arrivare a fine mese. Non vogliamo e non possiamo pensare di costruire un futuro che non parta dalla prospettiva del lavoro che manca oggi, lavoro come primo strumento di dignità, di giustizia e di responsabilità sociale. Intendo dunque declinare le possibilità occupazionali correlate allo sviluppo economico del lodigiano secondo le direttrici tracciate nel Libro Bianco negli specifici settori e per il mondo del lavoro nel suo complesso, mostrando come ci sia concordia tra quanto da noi proposto e i risvolti occupazionali correlati.
IL SETTORE AGRICOLOGià abbiamo sentito dell’importanza ambientale e culturale di un’agricoltura più collegata al territorio e della necessità di integrare le filiere produttive che nel lodigiano non hanno trovato compimento, quali sono però i risvolti occupazionali di queste scelte? Un’agricoltura meno intensiva porta con se un numero maggiore di manodopera e potrebbe far aumentare il numero di occupati in un settore chiave del territorio. I maggiori costi possono essere compensati da una capacità delle imprese agricole di non subire il mercato ma, in una certa misura di “fare il mercato” trovando approvvigionamenti e vendite in una rete propria nel territorio. È certamente una prospettiva di radicale cambiamento che porta gli imprenditori agricoli a dover ripensare la propria attività imprenditoriale. Non abbiamo la presunzione di insegnare a nessuno come fare agricoltura né invadere sfere di libertà imprenditoriale che rimangono assolutamente da tutelare, ci sentiamo però di proporre a sostegno delle aziende e dell’occupazione la via dello sviluppo delle sinergie e della cooperazione tra le imprese agricole per mantenere sul territorio quanta più produzione e dunque quanto più lavoro. Pensiamo solo a questo: oggi stiamo fronteggiando due casi di perdita di lavoro connessi a questa mancanza di un’attenta gestione delle forme di organizzazione solidale e condivisa del mondo agricolo. Da un lato il Consorzio Agrario che versa in situazione economico e finanziaria di grave difficoltà che sembra possa causare la perdita di circa 60 posti di impiego; fioriscono le lettere su «Il Cittadino» che ne riconoscono il ruolo e la validità, eppure sembra non esserci prospettiva di uscita da questa situazione. Dall’altro lato la Newlat (ex Polenghi) con la perdita di circa 38 posti di lavoro su 90; tutti auspichiamo il completamento della filiera del latte nel nostro territorio, una struttura che ha fatto la storia della nostra terra sta chiudendo per decisioni di chi con questa terra non ha nulla a che vedere, eppure anche qui non riusciamo a mettere insieme un progetto per il bene del nostro territorio, delle imprese e dei lavoratori. A queste situazioni possiamo poi aggiungere, per prossimità territoriale, la crisi del Consorzio Produttori Latte di Milano di Peschiera Borromeo con gravi conseguenze per i lavoratori e le aziende agricole socie e conferenti. Una situazione come questa non può che nuocere a tutti. Ecco allora che la strada e quella della corresponsabilità tra imprese per sostenersi e per sostenere l’occupazione. In questo percorso però non possiamo lasciare soli i nostri imprenditori agricoli, vanno sostenuti sul versante istituzionale, nell’aspetto finanziario con specifico riferimento alle banche di matrice locale e come consumatori: non possiamo pretendere che siano solo le imprese a cambiare ma occorre una nuova sensibilità anche nei consumi quotidiani.
ARTIGIANATO E IMPRESANel nostro territorio è soprattutto l’artigianato a rappresentare l’ossatura portante della struttura produttiva locale. Si tratta di piccole e medie imprese a connotato principalmente familiare che molto spesso stanno attraversando le difficoltà di questa crisi con senso di responsabilità professionale ed umana verso i propri dipendenti. Di contro esiste un tessuto di imprese di maggiori dimensioni che hanno segnato il passo in questo travagliato momento e che stanno dimostrando una vita totalmente estranea al territorio ed alle vicende della sua gente. Pensando ai nomi di imprenditori di una certa dimensione nel nostro territorio ci possiamo ricordare Zucchetti, Bergamaschi dell’Erbolario, i Falchetti dell’MTA, altri pochi e poi accanto a questi un’imprenditoria senza nomi e senza volto. Pensiamo a quanto sia stata assente la parte aziendale nella vicenda Newlat o in quelle di altri grandi gruppi con sedi nel nostro territorio. Oggi dobbiamo però renderci conto che un’economia sostenibile è necessariamente un’economia responsabile che passa attraverso aziende che hanno un volto che possa identificarne la volontà. È emblematica, in questa prospettiva, la vicenda della Schneider Electric di Guardamiglio dove, a dispetto di una amministrazione della multinazionale che inizialmente nemmeno voleva incontrare i lavoratori che intendeva trasferire a Stezzano, di contro è emersa la figura del vecchio proprietario, l’ingegner Vaghini, pronto a sostenere lo stabilimento di Guardamiglio con un suo intervento. Gli imprenditori di cui abbisognano sono questi imprenditori che ci mettono la faccia, con i loro pregi ed i loro difetti. Allo stesso modo il mondo del lavoro necessità di atteggiamenti responsabili dei lavoratori stessi, prove di maturità che occorre superare nella dedizione alla propria azienda, nella corresponsabilità, nell’unità e quando necessario attraverso forme di reciproco sostegno come i contratti di solidarietà.
I SERVIZI ALLA PERSONAQuesto settore rappresenta sicuramente una strada obbligata di sviluppo occupazionale. La domanda di servizi è crescente mentre le professionalità correlate emergono con maggiore lentezza. È il settore che necessariamente ci porta ad avere professionalità “in loco”, che deve essere consumato “in loco” e che non può essere aggredito da agenti esterni. Al fattore demografico aggiungiamo che la crisi del welfare pubblico obbligherà ad uno sviluppo del “privato sociale” che dovrà sempre più assumere i connotati di imprenditorialità per essere sostenibile e professionalmente qualificato. Qui si c’è davvero una forte possibilità occupazionale che occorre sostenere con adeguate politiche e con il sostegno a forme di welfare condiviso, il Consorzio Servizi alla Persona ne è sicuramente un esempio, che portino ad un rapporto proficuo tra amministrazioni e privato sociale. Ai positivi effetti occupazionali aggiungiamo che una corretta offerta di servizi alla persona potrebbe portare all’emersione di tutte quelle situazioni di lavoro nero, badanti o assistenza, che sono presenti nel nostro territorio; sarebbero indiscutibili i vantaggi di qualità del servizio, professionalità e giustizia fiscale. Trasversalmente a tutti i settori ci sentiamo poi di individuare alcune priorità di interventi specifici del mondo del lavoro per fronteggiare la grave disoccupazione.• Sostegno al lavoro buono: intendiamo con questa espressione un lavoro che esce dal precariato e dalla sottotutela, che sa valorizzare i contratti di filiera applicandoli a tutti i processi del ciclo produttivo, compreso ad esempio la logistica, un lavoro che è flessibile quando necessariamente debba esserlo e non per far fronte a finte stagionalità che non esistono, un contratto e norme di legge che ti portino sino alla pensione e non ti lascino in un esodo senza coperture, un accesso alla cassa integrazione per vere difficoltà aziendali e non per sistemare l’eventuale mancanza di saturazione della capacità produttiva, un lavoro che è domenicale solo per reali necessità, non per sostenere lo spreco e per allontanare i genitori dai figli.• Instaurazione di un rapporto proficuo tra scuola e mondo del lavoro. Oggi ci sono alcune professioni per le quali non esistono adeguati profili professionali. In quest’ottica è opportuno valorizzare le nostre scuole professionali territoriali, uscendo dall’equivoco culturale che queste siano le scuole per che “non ha voglia di studiare” ma affermando che sono “scuole che preparano ad una professione degna ed onesta come le altre”. Nello stesso modo vorremmo che i ragazzi che raggiungono più alti livelli di formazione universitaria, in Italia ed all’estero, potessero riappropiarsi della speranza di poter spendere la loro professionalità su questo territorio eventualmente scegliendo di andare all’estero o altrove, non essendone comunque costretti.• In ultimo non possiamo che incoraggiare le forme di solidarietà che in questo momento di rendono purtroppo necessarie, dalle politiche provinciali per l’occupazione al fondo diocesano di solidarietà, sino a tutte le forme di sussidiarietà attiva per il sostegno reciproco.La nostra speranza è quella che queste forme di solidarietà non servano più, ma saremmo troppo ingenui a pensarlo, sappiamo che la situazione non si sbloccherà nel breve periodo, siamo consapevoli di non aver dato che un piccolo contributo alla riflessione sul lavoro e sull’economia del nostro territorio: una riflessione che vogliamo affrontare con nel cuore le difficoltà di questo momento ma con la mente ben attenta al progetto complessivo del Lodigiano che vorremmo… un Lodigiano che in tanti abbiamo descritto nel “Libro Bianco per il Lodigiano del futuro” e che stasera abbiamo cercato di abbozzare non perché abbiamo soluzioni da vendere ma perché la nostra gente, tutti noi, si possa continuare a riflettere insieme nell’onesta e nell’interesse per il bene comune.
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