La sofferenza che vive in mezzo a noi

Anche un parroco si accorge subito che le statistiche, riguardanti l’aumento dei malati per tumore, riferite dall’articolo del Cittadino di sabato scorso sono vere: quanti malati in questo ultimo periodo. Tante volte non si vuole nemmeno pronunciarne il nome per paura anche se poi in tanti casi ci sono stati miglioramenti o addirittura guarigione. Avendo voluto farne un elenco, per ricordarmi di visitarli, mi sembravano veramente troppi. E in pochi anni anche due casi di leucemia hanno colpito la nostra comunità, e tutte due dei ragazzi. E anche i sacerdoti si ammalano.Il parroco sente propri i dolori di tutti perché fa come Gesù che sulla croce soffre come noi, per esserci vicino e non farci sentire mai più soli e abbandonati. In ogni dolore Lui c’è, Lui è lì accanto, ci porta in braccio anche se questo, tante volte, non appare, non sembra la realtà del momento. Dove c’è una croce, un ammalato è ancora venerdì santo. Ma Gesù vuole ancora oggi operare questa solidarietà attraverso di noi. E il sacerdote è il primo che va a visitare gli ammalati nelle case o negli ospedali, si fa prossimo, fa in modo che l’ammalato si senta un membro, e privilegiato, della grande famiglia della parrocchia. Che bello quando l’ammalato si accorge e risponde: “Ma è venuto qui proprio per me?” Certo, ognuno è prezioso davanti a Dio e la nostra vicinanza lo deve testimoniare. Non c’è bisogno di tante parole basta la presenza. Non c’è bisogno di frasi fatte, basta un sorriso, una stretta di mano. Il sacerdote raccoglie tutti i loro interrogativi, lo stesso perché che Gesù ha gridato in croce. E anche lui si domanda “Perché?”, quali sono le cause. E la risposta non arriva.Una volta sono rimasto amareggiato dal leggere, sempre su questo quotidiano, come dei sindaci avevano l’unico problema del rimborso per una centrale vicina, cioè quanti soldi riuscire a prendere. E la salute dei cittadini interessa ancora a qualcuno? Il sacerdote prima di tutto si mette ad ascoltare le persone non a predicare: nella visita alle famiglie (o benedizioni) quante sofferenze e difficoltà che ho scoperto, quanti cuori si sono aperti: una volta uno mi ha raccontato la storia della sua degenza con tutti i particolari. Come mai? Mi domandavo. Vuol dire che mi sente uno della famiglia. A volte capisco la supplica struggente che rivolgeva a Dio, e ai sacerdoti professori, San Francesco Saverio, vedendo le necessità della missione: “Molto spesso mi viene in mente di percorrere le università d’Europa, specialmente quella di Parigi, e di mettermi a gridare qua è là come un pazzo e scuotere quelli che hanno più scienza che carità…”.“Ma i preti vanno ancora a trovare i malati?” mi domandava una persona. Spero di sì, che sia una delle priorità, un aspetto irrinunciabile della pastorale. Certamente l’importante è riuscire a saperlo. E il sacerdote va a trovarli per portare Gesù Eucaristia, perché si sentano così ancora più in comunione con Lui, e per invitarli a pregare per le necessità della Chiesa, a capire quanto vale… il dolore offerto per amore. Il dolore del sacerdote è vedere che uno rimane chiuso nel suo dolore, non si apre ad accogliere il vero Medico celeste. Ma il sacerdote va a trovare gli ammalati soprattutto per imparare da loro: quante e belle testimonianze di fede che mi hanno arricchito personalmente, quanta forza e coraggio di andare avanti trovati nella fede. Sono una grande consolazione e lasciano perfino commossi. E infine da grande gioia al sacerdote vedere che anche altri si interessano e fanno di tutto per stare vicino ed aiutare gli ammalati: saranno i familiari e parenti (e non è sempre così scontato oggi), a volte dei vicini, ma ancora più bello è vedere i ragazzi stessi della comunità che ormai hanno preso l’abitudine, e ci tengono, a Natale e Pasqua, ad andare, accompagnati dai loro catechisti, a portare un regalo, un augurio e un sorriso ai nostri ammalati. Allora è tutta la comunità che impara a farsi vicino a chi soffre.

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