La scuola e le responsabilità dei politici

Vuoi vedere che aveva visto giusto la Moratti? Andiamo per ordine. E’ di questi giorni la notizia che quasi il 54% dei ragazzi ha scelto il Liceo a fronte di un 30% che ha optato per gli istituti Tecnici e di un preoccupante calo di iscritti agli istituti Professionali. Ci sono addirittura Licei che non sanno come fare per accogliere le innumerevoli iscrizioni. E’ il caso del Righi di Roma che ha raccolto 400 nuove iscrizioni e ora il mio collega si trova nel panico per dare una risposta a questa marea di aspiranti liceali. Sono dati del Ministero che confermano la tendenza già in atto da qualche anno con la ripresa delle scelte liceali. Naturalmente il pensiero non va solo ai licei tradizionali, ovvero Classico e Scientifico, ma di aumento si parla anche nei licei delle Scienze Applicate, delle Scienze Umane, del Liceo Linguistico e Artistico tanto per citare i più conosciuti. In poche parole il Liceo affascina e attrae più di ogni altro indirizzo di studi. E questo non può che far felice tutti, Aristotele compreso. Ma lo aveva capito molto bene anche Letizia Moratti donna manager, sindaco a Milano e poi Ministro dell’Istruzione per un’intera legislatura dal 2001 al 2005, cosa rara per i nostri tempi. Come Ministro è passata alla storia per la sua riforma che cancellò e sostituì quella del suo predecessore Luigi Berlinguer, ma che subì la stessa sorte con il successivo governo Prodi. La riforma Moratti, infatti, non ebbe il tempo per entrare a regime perché il suo successore, il Ministro Giuseppe Fioroni, fece ciò che a quei tempi si era soliti fare: cancellare la riforma del predecessore e farne una nuova. Così fece, sbagliando, il nostro buon Fioroni spalleggiato in questo da Confindustria che vedeva come una funesta calamità la licealizzazione anche degli istituti tecnici. Cancellare la riforma Moratti, soprattutto se ci riferiamo alla secondaria superiore, fu un grave errore perché sulla licealizzazione di tutti gli indirizzi la Moratti aveva visto giusto. In sintesi ricordo che la sua riforma trovava forza sul sistema duale. Da una parte i licei dall’altra i professionali. Il sistema liceale prevedeva otto indirizzi: Liceo Classico, Scientifico, Economico, Linguistico, Musicale e Coreutico, Tecnologico, Scienze Umane. Vediamo come si presenta oggi il sistema superiore. Ci sono tutti i licei previsti dalla Moratti ad esclusione dell’Economico inserito più che altro come articolazione alle Scienze Umane e in più sono stati avviati anche il Liceo Musicale Coreutico e il Liceo Sportivo. Con la legge sulla “Buona Scuola” trova ampio spazio nel percorso triennale superiore l’obbligo dell’Alternanza Scuola-Lavoro il cui intento è quello di collegare la scuola al mondo del lavoro, di unire il sapere e il saper essere al saper fare, di creare condizioni ottimali per preparare il giovane studente a vivere esperienze qualificanti in una realtà produttiva intergenerazionale. E’ esattamente ciò che prevedeva la riforma Moratti con i due decreti ministeriali che disciplinavano l’uno il Diritto-dovere all’istruzione e alla formazione della persona per almeno dodici anni e l’altro metteva per la prima volta al centro dell’attenzione l’Alternanza Scuola-Lavoro, sia pur non obbligatoria, sia nei percorsi liceali che in quelli della formazione tecnica e professionale a partire dal quindicesimo anno. Con buona pace di chi vedeva questa riforma come fumo negli occhi. Ma in politica, purtroppo, spesso prevale la logica del vincitore a discapito del vinto. E questa logica per più di un ventennio ha dettato il ritmo del tempo della nostra scuola, allungando in maniera considerevole le aspirazioni di cambiamento con pesanti ripercussioni sulle scelte dei ragazzi. Fermare quella riforma fu un errore storico il cui ritardo lo stiamo pagando ancora oggi e in questo i politici del tempo hanno le loro pesanti responsabilità. Abbiamo perso almeno dieci anni che con il frenetico ritmo di oggi equivale ad aver compromesso, anche se non persa, la partita sulla formazione dei nostri ragazzi. E poi ci chiediamo come fa la Germania a dettare ritmi così produttivi fortemente legati al suo sistema scolastico. La risposta non è poi così difficile da dare. Il paese teutonico, se ci fermiamo ad esaminare l’Alternanza Scuola-Lavoro ad esempio, è un punto di riferimento da imitare, è una realtà che fa scuola, un paese dove le diverse abilità vengono valorizzate, dove già a partire dalla scuola media l’orientamento è un fatto concreto a tal punto che ogni ragazzo riesce, con l’aiuto degli insegnanti, a darsi un futuro.E noi? Noi siamo ancora oggi a discutere perché mai la nostra scuola media rappresenti l’anello debole dell’arco formativo. Siamo ancora a chiederci come mai tanti nostri giovani “cazzeggiano” nelle Università; come mai arrivano all’Università che non sanno ancora scrivere; come mai al biennio delle superiori tanti ragazzi sono ancora indecisi sulla scelta fatta; come mai ancora oggi un ragazzo su tre non arriva al diploma; come mai tanti giovani diplomati scoprono di essere in possesso di un diploma che non rispecchi la loro aspirazione e finiscono col fare un lavoro che non ha nulla a che vedere col diploma conseguito. Noi siamo un popolo che amiamo tanto discutere senza fermarsi per prendere una qualche decisione, tralasciando il rischio di veder aggravare i problemi segnalati. Testimone culturale di questo esempio è Tito Livio con la sua famosa locuzione «Dum Romae consulitur, Saguntum expugnatur» ovvero «Mentre a Roma si parla, Sagunto viene espugnata» che tradotto in linguaggio scolastico vuol dire che mentre da qualche parte si parla e troppo, la scuola continua a perdere terreno sui fronti quali l’abbandono scolastico, la messa in sicurezza degli edifici, la perdita di autorevolezza degli insegnanti, l’aumento di conflittualità, la trasformazione della professionalità docente, l’eccessiva mobilità, il persistente precariato. Probabilmente di scuola parliamo troppo e in troppi. La scuola ha troppi maestri che finiscono col condizionare l’opera dei veri maestri: i docenti. «Quelli che parlano troppo fanno ben poco altro» è l’amara osservazione di Napoleon Hill scrittore americano morto nel 1970. Non è un attacco alla politica, ma a quei politici che usano la politica non per gli interessi generali, ma per le strategie di parte incuranti degli effetti e delle ricadute negative che da quelle strategie scaturiscono. La politica ha grosse responsabilità in tutto questo. Possiamo sperare in un nuovo Rinascimento?

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