Si allarga a macchia d’olio la protesta studentesca secondo una consuetudine autunnale dura a morire. Questi ragazzi si battono per una scuola diversa, più sicura, più rispondente alle nuove culture comunicative, più vicina alle nuove esigenze sociali. Questo vuol dire una sola cosa: la scuola di oggi, come sistema, è superata. A ben riflettere questi ragazzi, in fondo, tutti i torti non hanno. Forse sbagliano modi e metodi, forse esagerano nelle rivendicazioni così che per molti adulti questi ragazzi fanno paura per le scarse conoscenze che hanno, per il vuoto culturale che ostentano senza reticenze. A parer mio, invece, siamo di fronte a una generazione alla disperata ricerca di una scuola che li renda culturalmente meno poveri e meno ignoranti. E già che ci siamo non è difficile immaginare che la miglior scuola la trovano fuori dalla scuola, in una realtà dove riescono a vivere particolari esperienze, in un ambiente sociale che non ha nulla a che vedere con quello scolastico. Un ambiente aperto al mondo, senza confini e senza schemi, dove l’unica regola che vige è la libertà di spaziare e di cercare di superare i limiti che la scuola impone. Questi ragazzi sono molto più pragmatici. Vogliono sapere come funziona l’attuale sistema sociale, come funziona un’economia di Stato, come gestire correttamente un management. Sappiamo che a malapena conoscono i poteri legislativi, le funzioni parlamentari talvolta ridicolizzate più da discutibili comportamenti che da “onorevoli” esempi. Vogliono, per dirla in breve, meno chiacchiere e più concretezza. È vero, sappiamo, ad esempio, che non sanno scrivere bene, ma non si preoccupano poiché di affidano al nuovo idioma imposto dall’uso delle nuove tecnologie. Temi, relazioni, riflessioni sono intrisi di errori ed omissioni. Ma loro non se ne curano. Sanno fare di meglio. Sanno chattare, sanno mandare sms, sanno utilizzare bene le tastiere e per questo ricorrono all’uso di una forma comunicativa rivoluzionaria. Del resto nelle scuole americane i ragazzi non scrivono più in corsivo, ora usano le tastiere dei telefonini, dei pc, dei tablet. Sono esperti di una nuova comunicazione tanto chiara quanto efficace senza che la grammatica o la sintassi possa metterla in discussione. Sappiamo che sono insofferenti alle tradizionali lezioni cattedratiche oramai superate, non più in linea con i nuovi orizzonti del sapere concretamente resi reali dai nuovi spazi della conoscenza. In questo viene in aiuto internet. L’indifferenza verso ogni proposta didattica trova linfa vitale proprio nella convinzione che il mondo è cambiato, ma è cambiato per tutti e non solo per loro. Nell’ultimo decennio la società ha subito un’accelerazione tale da mandare in crisi anche l’attuale sistema scolastico. E ancora. Se i processi di apprendimento chiedono altro, altrettanto dicasi per quello che può essere il modo di vivere l’esperienza scolastica. Oggi l’attività di docenza ha bisogno di ulteriori arricchimenti conoscitivi che solo il ricorso al sistema interattivo può offrire. Le lavagne multimediali diventano ottimi strumenti di approfondimento a tal punto da offrire on-line l’aiuto di risorse professionali impensabili fino a qualche anno addietro. E che dire delle strutture scolastiche. Gli attuali spazi sono ereditati da un modo di vivere la scuola di stampo ottocentesco. Abbiamo a che fare ancora con corridoi stile conventuale; aule stile cellette domenicane; rigidi schematismi che scandiscono l’alternarsi di orari e lezioni. Le strutture, invece, dovrebbero adeguarsi rapidamente ai tempi se non si vuole appesantire l’attuale situazione con studenti poco o per niente interessati a lezioni impartite con il solito vecchio stile noioso e superato che non aiuta di certo a stimolare la curiosità dello studente. Molte delle attuali strutture scolastiche hanno una funzione perditempo più che laboratoriale. Penso che i ragazzi dovrebbero vivere tutto il giorno a scuola, imparare a meglio gestire i tempi, a respirare un clima di ricerca e di lavoro, a sperimentare soluzioni più vicine al mercato e scoprire le proprie attitudini senza per questo stare seduti ore e ore facendo finta di ascoltare un docente qualsiasi che parla e parla senza curarsi di chi ascolta. Entusiasmare è la parola d’ordine. Qualcosa del genere lo abbiamo già visto fare. Talete portava i suoi allievi sulla collina di Kebalak alle porte di Mileto anche di sera per le sue lezioni di astronomia; Aristotele insegnava ai suoi allievi passeggiando lungo il peripato del suo college; Epicuro insegnava ai suoi discepoli intrattenendosi nel giardino della sua scuola; Socrate fermava i suoi giovani allievi per strada e con loro ragionava maieuticamente; Platone insegnava a gruppi di ragazzi accomunati dalla voglia di indagine e di ricerca radunati in spazi aperti. Sono solo pochi esempi. Si dice che qualcuno vuole trasformare gli stadi in luoghi di cultura e di svago dove in attesa della partita si possa passeggiare all’interno della struttura, visitare un museo, vedere un film, affidarsi a qualche cicerone per meglio capire le specificità dell’architettura. Perché non pensare qualcosa di simile per le nostre scuole? Perché non trasformare i nostri edifici scolastici in isole culturali dove tutti possano sentirsi coinvolti nei processi di conoscenza non più ristretti in schemi ossessionati da moduli rigidi e spazi austeri? Come si fa a parlare di eccellenze in una situazione che di eccellente ha poco o niente? E’ vero. Talvolta questi ragazzi ne combinano di tutti i colori, ma forse vogliono una scuola più vicina al loro mondo che, purtroppo, non è il nostro.
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