La scuola non può arrendersi

La scuola non può arrendersi. In Germania torna lo spirito di Robin Hood in lotta contro lo Sceriffo di Nottingham, ovvero togliere ai ricchi per darlo ai poveri. Il poveretto di turno è la scuola visto che per un autorevole esponente politico tedesco: «una buona educazione non è gratuita, ha un costo e dobbiamo farcene carico». E allora, sempre secondo l’autorevole parlamentare tedesco, a farsene carico dovrebbero essere i ricchi con una tassa patrimoniale finalizzata a migliorare l’istruzione. E visto come vanno le faccende in Germania c’è da aspettarsi un bel salto in avanti in fatto di istruzione. E da noi? Abbiamo qualche Robin Hood sensibile al grido di dolore che sale dalle nostre scuole? Visto che molti politici sono andati a studiare a Nottingham, possiamo sperare in qualche amministratore locale impegnato a studiare da Don Diego De La Vega, alias Zorro, che l’immaginario collettivo vuole schierato dalla parte dei poveri? Molte nostre scuole navigano in acque agitate dal momento che tanti sono i problemi che le incupiscono. A scoraggiare sono le diverse strutture scolastiche fatiscenti, i deludenti risultati dei nostri studenti in Italiano e Matematica in campo internazionale, la preoccupante crescente demotivazione professionale di tanti docenti, la maledetta cultura del disinteresse generale nella convinzione che la scuola conta quanto un fico d’india. Il risultato? Abbiamo un ottimo potenziale distribuito in ogni campo del sapere, ma dobbiamo fare i conti con chi questo potenziale stenta a valorizzare. Un esempio? E’ notizia in questi giorni che la scuola secondaria di primo e secondo grado (medie e superiori tanto per intenderci) fa acqua da tutte le parti. Se la scuola media è classificata come la «scuola di mezzo», gli istituti superiori sono «un buco nero» nel sistema istruzione. Tant’è che la «scuola di mezzo», un po’come fu per l’«Accademia di mezzo» di Arcesilao, non riesce più a dare risultati sperati, mentre il «buco nero» continua a deludere gli attendisti. Tante scelte che caratterizzano ancora oggi il nostro sistema scolastico di primo grado vanno riviste e ripensate. Va detto, ad esempio, che il livello di rendimento acquisito dagli alunni alle elementari, non viene tesaurizzato abbastanza e tanto basta per disperderne i risultati faticosamente raggiunti. Se alle medie gli alunni arrivano dalle elementari preparati e se durante i tre anni delle medie i risultati oggetto di analisi internazionali dicono l’esatto contrario, allora vuol dire che qualcosa succede proprio in questo periodo. Gli alunni delle elementari ottengono buoni risultati in fatto di lettura e calcolo, mentre alle medie gli stessi alunni perdono terreno fino a disperdere quel patrimonio di conoscenza così faticosamente costruito. La scuola media, quindi, è forse la maglia nera del sistema? La musica non cambia se parliamo di istituti superiori. In questo caso sono soprattutto le competenze a fare da detonatore. I nostri giovani non riescono ad acquisire un livello di conoscenza tale da vederli dignitosamente rappresentati tra i paesi dell’unione europea. Del resto lo scarso rendimento scolastico procede di pari passo con lo scarso impegno nello studio così come da più parti segnalato. Non è un caso se questo grave problema formativo trovi una corrispondenza con i gravi problemi sociali legati alla preadolescenza e all’adolescenza. Come non rimanere trasecolati di fronte alle notizie di stampa che hanno di recente messo in luce un degradante giro di baby squillo disinibite, ammaliate da adulti predatori, estasiate da perspicaci godimenti seriali in cambio di soldi, ricariche telefoniche e regalini. E che dire delle «ragazze doccia» così chiamate dai loro coetanei pronte a concedersi nei bagni delle scuole per «qualche dollaro in più», per qualche bustina da sniffare o per qualche jeans griffato da mostrare. Sono tristi e choccanti fenomeni venuti a galla in alcune scuole della Roma capitolina, della Milano da bere e ora pare, secondo “Skuola.net”, in tantissime scuole sparse lungo lo stivale. Sembra di avere a che fare con ragazzi che hanno deciso di arrendersi. Ma la scuola no. La scuola non può e non deve arrendersi. Ancora una volta è la scuola al centro delle attenzioni. Una scuola dove ragazzi e ragazze, caduti in un preoccupante livello di decadenza morale, vanno alla ricerca di nuovi modelli di comportamento espressione di un disordine sociale. Ragazzi che si guardano bene dal considerare la scuola come un luogo deputato alla formazione, preferendo considerarla come occasione unica di socialità abietta più che di rispettosa relazione, di esperienze forti più che di scoperta di sentimenti, di festose «app collections» più che di entusiasmante occasione di ricerca progettuale. Il tutto talvolta sotto l’egida di famiglie consenzienti sempre pronte a svegliare sentimenti di dubbia eticità che ben si adattano al collaudato principio di abdicazione alle proprie responsabilità. Se da una parte il confronto con gli altri sistemi scolastici europei ci procura qualche fastidio, dall’altra ci pone delle precise condizioni da perseguire. Ma questo non sempre viene recepito. E allora perché mai dovremo continuare a lamentarci se il nostro sistema scolastico fa acqua o se i nostri studenti pensano più dove andare ad abbracciarsi, a sbaciucchiarsi o a sniffare piuttosto che a cercare rinnovate motivazioni per la ricerca e lo studio? Per i sindacati muovere l’attuale sistema significa avventurarsi in scelte sconosciute che forse non garantirebbero un ritorno di potere contrattuale; per i politici scommettere sulle proposte formative significa riconoscere il primato dell’istruzione che di fatto imporrebbe scelte fin qui non prese nella dovuta considerazione; per i genitori accettare il ruolo formativo ed educativo dei docenti significa disperdere un affermato luogo comune che vede il docente relegato a semplice gestore delle malefatte dei figli; per gli studenti accogliere una cultura del riconoscimento del merito significa dover fare i conti con il rigore e la serietà che mal si conciliano con i richiami delle sirene; per i docenti, infine, ricercare un nuovo inquadramento di sistema può anche essere accolto a patto che non si tocchino gli attuali equilibri. Bisogna che tutto cambi. Ma attenzione. Non come intende «Il Gattopardo» di Giuseppe Tomasi di Lampedusa: «Se vogliamo che tutto rimanga com’è, bisogna che tutto cambi».

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